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L'italia di prandelli e' gia' nella storia, ma puo' fare ancora meglio. ritrovando gusto del gioco e fiducia nei giovani
Creato il 11 settembre 2013 da CarlocaNon sarà, anzi, non è sicuramente questa la Nazionale più qualitativa e brillante nell'ultracentenaria storia del calcio azzurro. Ma quella che ieri sera a Torino, battendo 2 a 1 in rimonta la declinante Repubblica Ceca, ha conquistato con due turni di anticipo la qualificazione ai Mondiali 2014 è sicuramente una delle Italie migliori di sempre, sul piano della continuità agli alti livelli e della capacità di centrare sistematicamente l'obiettivo prefissato, se non addirittura di andare oltre le aspettative imposte dai propri limiti strutturali e di classe.
Da quando si è seduto su quella panchina, Cesare Prandelli non ha sbagliato un colpo: qualificazione europea (ottenuta anche quella a due gare dalla fine del girone), secondo posto (inatteso) al torneo continentale in Polonia e Ucraina, terzo alla Confederations Cup, e ora il ticket per il Brasile staccato senza la necessità di soffrire fino alla fine, come invece era accaduto in passato a rappresentative assai più reputate e onestamente meglio attrezzate di questa, pensiamo alla squadra tutte stelle che Arrigo Sacchi pilotò a fatica verso USA '94, o alla banda - Trap guidata da Totti e Del Piero, che nel 2001 non ebbe vita facile sulla strada per il Sol Levante nonostante un raggruppamento tutt'altro che proibitivo. I MERITI DEL CT - Sono tuttora convinto che il cittì, in questi tre anni di gestione, abbia accumulato meriti enormi, e che tali meriti non siano apprezzati compiutamente dalla critica. I risultati e la continuità, dicevo: ma anche aver cambiato l'immagine tecnica della squadra, dotandola di uno spirito più intraprendente e sbarazzino, del gusto di fare e imporre gioco, di guidare le danze invece di "subire" la partita sulla base dell'atteggiamento dell'avversario. E aver fatto tutto questo in uno dei periodi più delicati di sempre per l'italico football, ossia negli anni dell'invasione straniera, della perdita di competitività internazionale dei club, dello spazio sempre minore riservato ai giovani del nostro vivaio. ITALIA... ANNACQUATA - Dopo il disastro sudafricano, l'Italia ha ritrovato una dimensione di vertice persino in anticipo rispetto a quanto fosse lecito prevedere. Può accostarsi alla Coppa del Mondo del prossimo anno con legittima fiducia, sulla base del buono che ha costruito dal 2010 in poi. L'ho già scritto un'infinità di volte, così come ho scritto più volte, dopo Euro 2012, che lo spirito sbarazzino di cui dicevo sopra si è un po' annacquato in queste qualificazioni iridate. La squadra ha smarrito il gusto del gioco, si è fatta a tratti troppo sparagnina, punta più a badare al sodo che a brillare: legittimo se se ne hanno le capacità e la forma mentis, ma non è questo il caso di Balotelli e compagnia. L'apice dell'involuzione, in questo senso, la si è toccata forse nell'impegno della settimana scorsa con la Bulgaria. Ieri, allo Juventus Stadium, le cose sono andate un po' meglio. Perlomeno nel primo tempo, il nostro undici ha manovrato in velocità e con sufficiente precisione, creato pressione sulla difesa avversaria, costruito trame apprezzabili (grazie soprattutto a un Pirlo in crescita rispetto alle ultime apparizioni) e prodotto occasioni. Il fatto di aver chiuso, nonostante tutto ciò, la frazione in svantaggio, rientra nell'imponderabilità di questo sport, che nel'occasione ha trasformato Supermario in un vorace divoratore di palle gol (quattro mancate, di cui due clamorosamente), ruolo che solitamente non gli si confà. DIFESA: A TRE O A QUATTRO? - Nella ripresa, come contro il Giappone in Confederations, il risultato è stato capovolto in una manciata di minuti, dopodiché sono emersi i difetti di cui si è accennato sopra: il voler gestire il vantaggio minimo senza averne le capacità tattiche e la mentalità, e il non saper chiudere il match, lasciando fino in fondo spiragli aperti alle speranze degli avversari. Il black out dopo il rigore di Balotelli, con i cechi più volte giunti pericolosamente dalle parti di Buffon, è stato emblematico in tal senso, ma francamente sul tema rischio di diventare ripetitivo.
Allo stesso modo, continua a non convincermi il tourbillon tattico, e segnatamente questo periodico innamoramento per la difesa a tre con De Rossi al centro, salvo repentine marce indietro quando le cose non si mettono per il verso desiderato. Non che sia un modulo da ripudiare a tutti i costi, ma la storia di questa rappresentativa dimostra che i migliori risultati sono stati colti con la retroguardia schierata a quattro, e che la formula con cui si è iniziata la gara di ieri può essere funzionale solo in determinate situazioni, e verosimilmente contro compagini più abili di quella ceca a prendere in mano le redini del gioco e a menare le danze. Senza contare che il romanista, pur essendo un eccezionale uomo ovunque di stampo olandese (nell'accezione... settantiana del termine), in quella posizione è pur sempre un ripiego: così arretrato, il suo apporto fondamentale nel cuore della manovra rischia di essere azzoppato, se non a costo di un dispendio eccessivo di energie per quello che è un superbo atleta ma, val la pena rammentarlo, non più di primissimo pelo.
La retroguardia ha già acquisito esemplari condottieri in Barzagli, attualmente ai box, e nel convincente Bonucci ammirato nelle ultime uscite, attento nelle chiusure e preciso nel far ripartire l'azione: bastano e avanzano per garantire adeguata copertura al complesso. In attacco, poi, affidarsi a Mario come unico riferimento centrale può essere un rischio: il rischio di caricarlo di una mole di lavoro abnorme e di fargli perdere lucidità, se non arriva sostegno adeguato dagli esterni: e l'Italia attuale paga anche la relativa incisività degli incursori laterali in zona tiro. Anche ieri, Candreva a Giaccherini sono stati propositivi assai (soprattutto il laziale), ma non "cattivi" sotto porta come sarebbe doveroso con un modulo di questo genere, nel quale i suddetti elementi dovrebbero avere una concretezza sotto rete pari quasi a quella degli attaccanti "veri". PASQUAL, CHE RITORNO! - Del match di Torino, rimane innanzitutto l'ottima prova di Pasqual, che in una sola gara (nemmeno portata a termine) ha dato più spinta sulla sinistra e più presenza nel vivo del gioco di quanto non abbia fatto Antonelli nelle due precedenti; curiosa davvero la vicenda del terzino viola, in rampa di lancio alla vigilia di Germania 2006 (un posto fra i 23 di Lippi pareva probabilissimo) e poi lungamente ai margini, prima di questa improvvisa e felice riemersione. Da annotare anche, per contro, un Montolivo fuori fase (da lui ci si attende ben altro contributo in fase di ispirazione, e non solo cieco sferragliare a tutto campo) e un Thiago Motta impalpabile: non sarebbe stato meglio far entrare Florenzi, nel finale, per dare sostanza, copertura e dinamismo a un reparto centrale in affanno?
E I GIOVANI? - Avendo citato il giovane romanista, ecco un altro elemento sul quale, di qui al Mondiale, occorreranno segnali più chiari da parte del tecnico: la fiducia riposta nei giovani, nelle ultime uscite, pare segnare il passo. Proprio perché la linfa garantita dalla linea verde (Balo, Marchisio, Rossi, fino all'ultimo arrivato De Sciglio) è stata uno dei motori di questa nuova Italia, assieme alla resistenza ad alti livelli di alcuni totem del quarto titolo iridato, non ha senso fermarsi adesso, e "congelare" i vari Verratti ed El Shaarawy solo perché stanno attraversando un momento di pausa e assestamento, fisiologico in ragazzi della loro età giunti così in fretta ai vertici della maturazione e delle responsabilità. Ho sempre detto che, in questo calcio così chiuso nei confronti delle nuove leve, l'esempio deve giungere proprio dalla Nazionale, casomai anche forzando la mano e anticipando le mosse dei club: se questi ultimi mettono da parte i nuovi virgulti ai primi refoli di tempesta, ebbene, che Prandelli dia invece loro piena fiducia, li coccoli e li segua con attenzione, limandone i difetti. Il leit motiv, banale quanto si vuole, è sempre lo stesso: senza fiducia, e quindi senza minutaggio ad alti livelli, i giovani si intristiscono e, alla lunga, rischiano davvero l'involuzione, salvo, per i migliori, uscire finalmente dal bozzolo a 26 - 27 anni. E' un rischio che questa Azzurra non può permettersi di correre: le potenzialità del Club Italia sono maggiori di quelle intraviste in questo anno e mezzo post Europeo, tarpargli le ali per mancanza di coraggio ed eccesso di conservatorismo sarebbe quasi sacrilego.
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