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L’Italia Fatta in Casa

Creato il 21 maggio 2013 da Larivistaculturale @MePignatelli
Posted on mag 21, 2013 in Politica, Società, Sostenibilità

 Elsa Fornero Stensen Cesfin Neodemos. solidarietà intergenerazionale.

Ho incontrato la Ministro Elsa Fornero il 22 Novembre 2012. “L’Italia non può essere costruita sul tempo che le donne dedicano alla famiglia” ma “dobbiamo affrontare i privilegi del lavoratore maschio adulto” perché “i giovani di oggi non potranno più aiutare i loro figli come loro stessi sono aiutati”;  e che quindi lo Stato si deve organizzare per far fronte ai cambiamenti prossimi dell’assistenza familiare, sono gli argomenti che più mi hanno colpito nel pomeriggio dedicato a spiegare il senso sociale della sua riforma. Gli ho stretto la mano. Lei usciva, scortata, in un quartiere blindato dai carabinieri in assetto antisommossa. I giornali del giorno dopo hanno riportato solo di un piatto di zuppa che un paio di persone hanno cercato di portarle.

Era un convegno organizzato da Neodemos con il sostegno del Cesifin all’Istituto Stensen per spiegare i “Cambiamenti demografici, il risparmio e la solidarietà intergenerazionale”. Ho capito il senso della sua riforma e mi sono riproposta di scrivere un articolo per cercare di farne capire il senso profondo anche ad altri.

Riporto in parte il lavoro di ricerca di Maria Letizia Tanturri, dell’Università di Padova, che in quel pomeriggio ha presentato la relazione che meglio illustra la realtà sociale nella quale la riforma Fornero ha agito.

“Il 2012 è stato dichiarato anno europeo dell’Invecchiamento Attivo e della Solidarietà tra le Generazioni. Le relazioni e gli scambi gratuiti fra parenti hanno avuto un’enorme importanza nelle società tradizionali, ma restano rilevanti anche in tutte le società a sviluppo avanzato dell’Europa mediterranea e, in particolare, in Italia dove i forti legami di sangue sono un “tratto originario” dell’organizzazione sociale (Viazzo 2003).

Se volessimo stilare una classifica dei paesi in base all’intensità dei legami intergenerazionali – comunque misurati – l’Italia occuperebbe in effetti se non il primo, almeno uno dei primi posti. La solidarietà tra le generazioni – anche se sfugge alle più comuni rilevazioni statistiche della contabilità nazionale – può essere considerata una vera e propria risorsa italiana, in termini di intensità di scambi e contatti tra le generazioni, nell’aiuto reciproco e nella prossimità abitativa.

Ad esempio, secondo i dati SHARE, il 95% degli italiani con più di 50 anni ha almeno un figlio che vive nel raggio di 25 km dalla propria abitazione, contro il 46% della media europea (Hank 2007). La forte prossimità fra parenti da sempre facilita i frequenti scambi di aiuti gratuiti (Tomassini et al. 2003), ma ha contribuito a rallentare la diffusione di misure universali di welfare paragonabili a quelle correntemente adottate nei paesi dell’Europa centro-settentrionale (con alcune importanti eccezioni come ad es. l’istruzione pubblica) (Esping-Andersen 1990; Ferrera 1996). In un gioco di azioni e retroazioni, le ragioni storiche e culturali (la famiglia a “legami forti”) che non hanno permesso al sistema di welfare di sviluppare misure universalistiche ci hanno portato ad una situazione in cui i servizi sono scarsi, costosi e spesso percepiti (anche se non sempre a ragione) come di peggiore qualità rispetto alle soluzioni offerte dalla solidarietà intergenerazionale. Ad esempio, per la cura dei bambini ci si fida più dei nonni che non del sistema educativo di un asilo nido.

La famiglia italiana offre molti servizi di buona qualità (es. i pasti preparati a casa) e risponde a molte esigenze individuali, anche quelle che non le spetterebbero strettamente: la famiglia, infatti, diventa sovente una sorta di agenzia di collocamento, visto che molti giovani trovano lavoro proprio grazie alle reti di conoscenza familiari, e talvolta persino un ammortizzatore sociale, come ad esempio quando i giovani perdono il lavoro e tornano dopo un periodo di autonomia a vivere con i genitori, o tornano in famiglia a seguito di un divorzio, oppure funziona anche come banca, visto che gli istituti finanziari non sono soliti concedere prestiti ai giovani, per pagarsi gli studi per esempio.

Ma questa specie di “macchina da guerra” ha bisogno di molto “carburante” per funzionare. Prendiamo ad esempio una famiglia tipo costituita da una coppia con almeno un figlio in età prescolare: in Italia l’input di tempo (domestico e di cura) necessario per gestirla ammonta a 64 ore a settimana, mentre in Svezia la stessa famiglia ne assorbe appena 48, in media più di 2 ore in meno al giorno. Anche quando i figli sono più grandi le coppie italiane continuano a dedicare alla famiglia una quantità di tempo doppia rispetto  alle omologhe svedesi, per un totale di 40 ore alla settimana.

Se nel nostro Paese la macchina funziona si deve soprattutto al particolare impegno femminile: l’80% del lavoro domestico e di cura è svolto dalle donne, mentre in Svezia la gestione della famiglia è marcatamente più paritaria dato che le donne svolgono solo il 60% del lavoro domestico.

Da sole, dunque, le donne italiane dedicano più tempo alla famiglia di quanto non facciano in due le coppie svedesi: 51 ore alla settimana, mentre i compiti domestici delle scandinave non arrivano a 30 ore.

Qui entrano in gioco molti aspetti, alcuni legati a preferenze, altri a costrizioni.

Lo scambio di tempo ha un ruolo molto importante per rinsaldare rapporti tra le generazioni: i figli “consumano” una grande quantità di tempo parentale quando sono piccoli, ma, una volta diventati adulti, ripagano solitamente i genitori offrendo loro sostegno ed aiuto.

Ma la sostenibilità di un sistema familiare così ad alta intensità di tempo delle donne, viene messa in discussione dai cambiamenti socio-demografi ci in atto. Possiamo identificare almeno tre punti critici su cui occorre riflettere: la crescente domanda di assistenza da parte della popolazione anziana, la crescente partecipazione lavorativa delle donne, l’invecchiamento attivo e le riforme del sistema pensionistico.

L’idea di questo lavoro, conclude la Tanturri, è mostrare come la famiglia forte italiana non sia solo il frutto gratuito di una tendenza storica e culturale, ma piuttosto il frutto coltivato da uno straordinario input di tempo femminile (almeno rispetto ai Paesi dell’Europa Settentrionale e Occidentale) e solo in misura molto minore dagli uomini. Come abbiamo visto, sono ancora prevalentemente le donne a tenere accesi i legami tra le generazioni, a lavorare gratuitamente per aumentare il livello di confort domestico di cui tutti i membri della famiglia beneficiano. Se non si intende rinunciare a tutto questo, il contributo maschile oggi è più che mai necessario.

Un commento in aula di Maria Letizia Tanturri: “Educare alla paternità fin da piccoli, cambiare la mentalità!”

Segue l’intervento di Elsa Fornero, che si può leggere qui, e riporto dai miei appunti:

“La riforma Fornero ha considerato che i giovani sono in balia di moltissima incertezza e difficoltà contro la  ’fascia protetta del maschio adulto”, come lo chiama l’allora Ministro Elsa Fornero, “a scapito di giovani e donne, e ha cercato di intervenire in questo senso.

Non vogliamo che il rischio d’impresa sia trasferito sui giovani e le donne, usando dei contratti che non hanno nulla di progettuale, di commesse a partita Iva. La precarietà c’è e non un modo per entrare nel mondo del lavoro.
Ma anche blindare i posti di lavoro non più produttivi non va bene.

Oltre a essere un’applicazione del principio di equità, la riforma Fornero in realtà rappresentava un atto dovuto, in ottemperanza agli impegni assunti, in sede internazionale, dal precedente governo. Il suo obiettivo è quindi quello di realizzare la sostenibilità finanziaria e la sostenibilità generazionale, in cui non sono più imposti ai giovani e alle generazioni future oneri gravosi e scarsamente sopportabili per mantenere le promesse fatte alle attuali generazioni di pensionati e di lavoratori prossimi alla pensione”.

Ma per ora l’Italia si costruisce ancora con la solidarietà e le tirannie, i valori e gli odi, le promesse e le aspettative tipici delle case. E delle famiglie.


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