L’Italia fucilata. Con la benda sugli occhi, come un traditore
Creato il 14 agosto 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
L’impressione è quella di trovarsi davanti a un plotone d’esecuzione. Il fatto che a imbracciare il fucile che segnerà la nostra fine è una gang di malfattori, illusionisti, prestigiatori della truffa e dell’evasione fiscale, puttanieri, cocainomani, assetati di sangue extracomunitario, analfabeti da diporto, governanti a loro insaputa e grandi figli di puttana, non ci consola affatto, anzi, ci fa incazzare ancora di più come se le loro pallottole fossero diverse da quelle di militi che lottano per un ideale ma sempre pronti a spararti un colpo alle spalle. L’Italia è il prigioniero politico bendato, quello che una raffica di proiettili all’uranio impoverito ha ucciso senza ritegno dopo averne distrutto la storia, l’onestà, la cultura, la grandezza, il patrimonio di idealità, la fantasia. Impotente, quella stessa Italia, ha assistito alla manovra degli statisti che hanno stabilito di depredare ogni cosa albergasse sul suo territorio, dignità compresa. Immota, come un martire che si immola, non è riuscita a rivoltarsi contro coloro che l’hanno resa una nazione piccola e derisa, debole e prigioniera dei vizi del suo Capataz, una repubblica delle banane buona sola a soddisfare gli appetiti voraci di Calderoli, che di banane ne mangia un casco alla volta. Perfino il suo Presidente ha firmato, senza il battito di una ciglia birichina, il decreto che ne procura la morte, salvo poi, in un momento di resipiscenza, dire “Ora occorre il confronto” e uno dei leader dell’opposizione, “Voteremo contro ma nessun ostruzionismo” e la capa di quello che fu un grande sindacato, “è una manovra immorale però aspettiamo quello che fanno gli altri” perché il solo “pensare”, a ferragosto, potrebbe risultare letale. Lavoratori dipendenti, ceto medio, impiegati pubblici, pensionati e soprattutto le donne (quelle che non gliela danno), pagheranno a carissimo prezzo il delirio di Silvio Berlusconi e degli affiliati alla sua cricca, perché questo è un colpo alla bocca dello stomaco per rialzarsi dal quale occorreranno i prossimi 10 anni se fosse stato dato ieri, da domani gli anni diventeranno 20. Pagano sempre i soliti. I ricchi non possono farlo perché altrimenti poi chi manderebbe avanti questa nazione? Ma i ricchi stanno scappando. È ricominciata la fila alla frontiera con la Svizzera per andare ad aprire cassette di sicurezza a Chiasso e a Lugano. Dei trasferimenti di denaro on-line i ricchi hanno paura perché comunque lascerebbero scie rintracciabili quando l’aria politica di questo Paese dovesse cambiare. Allora tornano di moda gli “spalloni”, quelli che mettevano il denaro in capienti borse di pelle e attraversavano la frontiera al 3 per cento delle somme esportate illegalmente. In questa Italia non crede più nessuno, e già si vedono i primi tricolori listati a lutto perché stiamo celebrando un funerale con tanto di cardinale Carrozziere (Bertone) che asperge acqua santa e asciuga con il fumo dell’incenso. Che saltino 54mila poltrone è un dato secondario, una misura in itinere che non servirà a un cazzo salvo a spandere un po’ di becero populismo e dire “vedete, ci colpiamo anche noi stessi medesimi”. Ma a chi lo dici tu, superministro dell’economia che fissi la tracciabilità degli assegni a 2500 euro quando ne paghi 4000 in nero di affitto al tuo braccio destro? E allora affanculo pure tu che appari stressato in tivvù, con le occhiaie, la erre sempre più moscia, ma l’occhietto vispo di chi, ancora una volta, l’ha messo nel culo di una nazione un po’ troia che non prova più manco un po’ di dolore quando qualcuno la penetra con la violenza dello stupratore mascherato da uomo dello stato. Fra un po’, per far cassa, Silvio metterà allo sconto le sue escort private, quelle che di questa crisi se ne sbattono le sopracciglia finte perché tanto un lenone un po’ porco e afflitto dalla sindrome di giovanilismo acuto, lo troveranno sempre. Rimpinguerà i suoi conti correnti alle Cayman e ad Antigua alla quale qualcosa deve, visto che gli ha permesso di scoprire gli altarini di tal Giancarlo Tulliani che tutti hanno ormai dimenticato. Chi non pagherà per niente questa crisi saranno i suoi elettori: gli industriali, gli evasori, i liberi professionisti, i commercianti all’ingrosso e quelli on-line, i grandi centri di distribuzione, i produttori di decoder televisivi, gli appartenenti alle decine di cricche corporative che saccheggiano da anni l’Italia, i presidenti delle banche di credito cooperativo, specie se fiorentine, le banche tout-court grazie alle quali Silvio può permettersi di pagare mezzo miliardo di euro a De Benedetti senza battere (anche lui) ciglio. Però. Però è ferragosto. E gli italiani a ferragosto sono come la minchia che nun vole pinseri, pena una magra colossale con la mignotta di turno appena uscita da Colorado Cafè. A ferragosto le rivoluzioni non si fanno e se si pensano è sotto l’ombrellone, al mare, mentre le mamme urlano a squarciagola i nomi dei figli che si stanno lanciando sabbia negli occhi e il vicino di sdraio commenta i colpi mancati del mercato calcistico dell’Inter. A ferragosto è come a natale, gli italiani si sentono più buoni, con in più l’odore nauseabondo della crema solare di cui si cospargono prima di essere messi nel forno con le patate. A ferragosto i pensieri sono volatili come i cinque euro per una birra, i sette per un panino con la porchetta, i dieci per una grappa ghiacciata. Che volete che siano rispetto al ricco e dovizioso autunno che li aspetta? Un niente, un soffio di vento, una folata di maestrale, un giro al largo con il pattino e fanculo la crisi, almeno a ferragosto.
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