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[ Sorry, this post is going to be entirely in italian. ]
Sono stata lontana da casa un anno, ora. Un anno.
Un anno è sufficiente per capire molte cose, per analizzare, guardare la situazione dal di fuori senza esservi immersi e trascinati via.
Stamattina su Twitter c'era un'hashtag tra le trending che mi ha colpita. Era #NonVoglioPiùVedere.
Per quanto sia sciocco attaccarsi a questi pretesti per scrivere un post sull'argomento, voi che leggete sapete dove andare a "pescare" i vostri esempi. Nelle frasi dei vostri genitori, fidanzati/e, nonni, amici. Nell'aria di totale sfiducia e di frasi fatte che rimbalzano di bocca in bocca.
L'Italia sta soffrendo molto, ma a soffrire non è l'economia, un concetto nebuloso di "società", tanti plurali vuoti e vaghi. A soffrire sono le persone.
La sofferenza genera senso di colpa, il senso di colpa genera altra sofferenza, che genera idee che generano psicosi collettiva.
Non fraintendetemi: se credete che mi stia schierando dalla parte di chi sostiene che la crisi "sia nella testa della gente" vi sbagliate.
Ci sono dati concreti a testimonianza del momento di disagio che stiamo attraversando, ma non riesco davvero a fare a meno di pensare che l'approccio emotivo sia esagerato.
Siamo un popolo legato all'espressione dell'individuo, alla libertà di parola ( quando non censurata ), al manifestare le proprie emozioni prima ancora dei propri ideali.
Questa spontaneità ci caratterizza, ci porta ad essere ammirati, cercati e amati.
Solo noi non lo sappiamo.
Una volta ero anch'io così.
"In Italia non ci torno"
"Qui è una merda"
"I treni non funzionano"
Potrei andare avanti per ore, giusto?
NO.
Facciamo un gioco.
Immaginiamo che l'Italia sia vostra figlia, o vostra sorella, o una vostra amica.
Come tutte le persone, ella ha lati positivi e lati negativi, pregi e difetti.
Le fareste mai notare continuamente i suoi difetti come se fossero l'unica cosa di cui è composta? Come se fossero l'unica cosa che la caratterizzano?
Direste mai che è grassa di fronte a lei, che non sa comportarsi in pubblico, che arriva sempre tardi agli appuntamenti, che non fa i compiti e non ha un futuro?
Direste mai che non dovrebbe mai essere nata, che i suoi genitori hanno fallito con lei, che dovrebbe diventare completamente un'altra persona per essere accettata ?
Non vi sembra orribile?
Vi sembra che io parli di assurdità paragonando l'identità di uno Stato all'identità di una persona?
E se sì, allora perché si parla sempre di "identità collettiva"? Perché noi stessi generalizziamo su noi stessi? Perché ci attacchiamo agli stereotipi anche se ci conosciamo e non facciamo altro che sotterrarci a vicenda, sempre di più?
Se potessi auto-proclamarmi attivista in tal senso, lo farei.
Sono un'attivista del pensiero positivo.
Sono convinta che se io partissi, ora, proclamando la gioia di vivere e dell'arrangiarsi, e voi lo diceste ad un amico, e il vostro amico lo dicesse ai suoi genitori, e la madre lo dicesse alla parrucchiera, e la parrucchiera lo dicesse ad una cliente, e così dicendo, avremmo una positività che si espande a macchia d'olio.
Lo facciamo?
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