21 MAGGIO - Dal crac Lehman sono passati quasi cinque anni. Anni duri per l’economia internazionale. Ed italiana in modo particolare. Il pesante credit crunch che ne è conseguito ha messo e sta mettendo a durissima prova la capacità di tenuta, anche sociale , del nostro Paese. In molti in Italia stanno amaramente piangendo le conseguenze di politiche sbagliate. Ho utilizzato per il titolo quello di un volume di Italo Moretti: “L’Argentina non vuole più piangere”, (Sperling & Kupfer Editori 2006). Li la vicenda dalla grande depressione ad oggi era raccontata con stile asciutto. Il nostro oggi vede una recente attualità mostrarci caratteri da delirio semantico che molto hanno in comune con l’esperienza di questo grande paese sudamericano, nostro fratello: l’Argentina, appunto. Negli anni novanta l’Italia è cresciuta sul debito. Era il 1995 quando Standard and Poor’s riassegnò il rating tripla A al nostro debito pubblico, portandolo però ad AA nel 1998, con out look ancora positivo. Nel 2013 all’indomani delle ultime elezioni, Standard And Poor’s conferma come “le elezioni italiane non hanno implicazioni sul rating” – ha spiegato Kraemer capo dell’Agenzia per l’Italia, un tedesco, a margine di una conferenza – “la nostra visione è che le ampie politiche di bilancio rimarranno intatte e che l’avanzo primario che abbiamo in Italia sarà predominante”. Secondo l’agenzia di rating, “la reale sfida in Italia è sul fronte della crescita”. Per la società di consulenza, “i risultati delle elezioni generali non hanno implicazioni immediate per i rating sovrani dell’Italia (BBB+/Negative/A-2)”. L’importante, per l’agenzia di rating, è che il percorso di risanamento del bilancio non si fermi “dato l’elevato stock del debito pubblico, stimato al 127% del Pil a fine 2012″.

La “decrescita felice” appare una utopia degna di dibattiti salottieri. Servono persone attente e sensibili al destino comune, di tutti noi. I “fenomeni”, se esistono, sono solo di “morattiana” memoria.
Carlo Rossi
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