Ha ragione Brunetta quando dice che i lavoratori precari sono “l’Italia peggiore”.
Lo sono perché nessun paese dovrebbe permettersi, non dico la precarietà, ma lo sfruttamento della precarietà. Perché è questo che accade in Italia. Essere precari significa non avere tutele di nessun genere, significa rimanere continuamente in balia degli eventi, significa essere alla mercé del mercato, dei ricatti dell’azienda e dei padroni.
Essere precari, in Italia, nel 2011, significa soprattutto essere ricattabili.
È un modo come un altro per mantenere il potere sulla massa, per innescare guerre fra poveri, per arricchirsi alle spalle dei diritti e dei lavoratori.
Ha ragione Brunetta, quindi, a dire che i precari sono “l’Italia peggiore”. È un’Italia che anche lui, con i suoi evidenti fallimenti, ha contribuito a creare.
In qualsiasi democrazia matura un governo che non è più sostenuto dal popolo farebbe le valigie e se ne andrebbe a casa. E nessun politico, di destra o di sinistra, si permetterebbe mai di offendere il popolo, i lavoratori e le lavoratrici, come invece ha fatto Brunetta e come fanno, quotidianamente, molti esponenti politici.
Si sono dimenticati, lor signori, che sono li per fare l’interesse del popolo?
Quello che invece emerge con preoccupazione è il disgusto che certi politici hanno nei confronti delle fasce cittadine che considerano “inutili”. È chiaro che quando Brunetta dice che un laureato senza lavoro deve andare alle cinque del mattino al mercato generale a raccogliere le casse della frutta non si riferisce ai figli dei potenti, ai suoi o a quelli dei suoi colleghi “ministri”.
Non c’è nulla di male a fare lavori di fatica, io mi sono mantenuto all’università facendo il cuoco, arrivando a lavorare 15 ore al giorno. E se rimanessi senza lavoro, oggi, farei qualsiasi cosa.
Quello che non dice Brunetta è che non esistono lavori che gli italiani non vogliono fare. Esistono lavori sottopagati, in cui si viene apertamente sfruttati. Lavori che, purtroppo, si preferisce far fare a persone che hanno ancora meno diritti di noi. Precari della vita, venuti da altri paesi, in fuga da guerre e fame. Perché ormai è così che funziona: signori, padroni, precari e schiavi.
Brunetta ha ben chiara in mente l’Italia che vorrebbe, lo si evince dalle parole cariche di disgusto che trova sempre contro le persone che vede come “inutili”. Brandendo sempre parole come “squadrista” o “terrorista”. Perché, si sa, se lui offende e straparla va tutto bene ma se qualcuno si permette di rispondergli a tono allora quello è un “fazioso”, un “violento”, fa parte “dell’Italia peggiore”.
Ebbene sì, ministro, è un’Italia peggiore, l’avete confezionata bene, è il vostro regalo alle nuove generazioni.
È un’Italia peggiore non sapere come arrivare alla fine del mese, è un’Italia peggiore avere quarant’anni e un contratto che scade a mesi, è un’Italia peggiore non poter più garantire un’istruzione ai propri figli, è un’Italia peggiore avere 800 euro di stipendio e 400 di pensione.
Ma qual è, ministro, l’Italia migliore? È forse quella dei festini? È quella delle battute? È quella di lavori pagati 20.000 euro al mese? Delle escort? Del lusso sfrenato?
Forse, ministro, in un’Italia migliore uno come lei non aspirerebbe neppure ad andare a raccogliere le casse della frutta.
Credo, ministro, che l’unica Italia che lei conosca veramente sia Italia… Uno!
Marino Buzzi