Proviamo a leggere il mondo dagli occhi di Andrea Camilleri. Con quegli occhiali spessi, l’accento rauco siciliano, la voglia di dire no un giorno fisso e l’altro pure. Proviamo a dire no con le parole più semplici che conosciamo, in maniera non volgare, sempre giocando tra un lato e l’altro del filo che può farci cadere nel baratro del’incertezza e del dubbio. Dovremmo avere 86 anni ed una storia di lavoro e scrittura alle spalle, una serie di delusioni grandi così. Ma, soprattutto, tanto coraggio grande almeno quanto l’energia che abbiamo in corpo.
Non deve essere semplice essere nei panni di Camilleri, circondato di lettori che implorano di dar seguito alle avventure di Salvo Montalbano. Quel commissario che nei libri ha in dotazione una bella chioma grigia ma che tutti ormai vedono con la pelata di Luca Zingaretti. Non deve essere facile essere radicale in un mondo che, pur presentandosi spigliato sino al fastidio e sboccato da censura con bollino, sottende vaste oasi di pensiero benpensante.
Lui, figlio di un fascista della prima ora, partecipe attivo della Marcia su Roma. Lui, un diploma ottenuto senza esame per lo sbarco Alleato. Lui, scacciato da un collegio per aver tirato uova contro un crocifisso, in questo paese deve sentirsi stretto, disagiato. Forse anche un tantino sconfitto. Non tanto per la storia del clericalismo, sia chiaro. Quanto più per la costanza con cui il mondo che lo circonda s’impegna a rinnegare se stesso.
2009 e 2010 di Andrea Camilleri sono racchiusi nel testo edito da Chiarelettere intitolato “Di testa nostra”. Laddove, quell’attributo possessivo ha senso vigente in quanto espressione della zucca anche di Saverio Lodato, giornalista de l’Unità, complice dei peggiori di Camilleri nonché curatore del libro. Due anni di Lodato-provocazioni e di Camilleri-pensiero racchiusi in circa duecento pagine. Pagine dure, ironiche, talora addirittura blasfeme nei confronti di un modus cogitandi diffuso. Un manuale della libertà di pensiero e dell’indipendenza contenente tutte le tematiche più in voga, tutti gli argomenti scottanti, sotto la lente d’ingrandimento camilleriana.
Indiscusso protagonista, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, maciullato verbalmente e bastonato con sagacia spietata. E, attraverso lo specchio di Arcore, come in quello fatato del regno della strega di Biancaneve, si possono vedere tutte le magagne di un sistema al tracollo, tutti i sintomi da crollo dell’impero: Noemi Letizia e L’Aquila, Gheddafi ed i processi per corruzione, la guerra in Iraq e le leggi ad personam. È il Cavaliere il bersaglio favorito dello scrittore sicilano. Lodato lo sa e martella. Camilleri ringrazia, prende la rincorsa e parte ventre a terra. Colpendo direttamente: “Demonizzando Berlusconi si fa il suo gioco? Credo, al contrario, che sia il tacere a fare il suo gioco” o “Il problema si fa grosso quando un nano si crede Dio”. Ed indirettamente: “Quando Riina manifestò il proposito delle stragi, Provenzano fece un sondaggio fra imprenditori, politici e massoni. Ma i risultati non li divulgò. Il pentito Giuffrè riuscì a sapere che alcuni industriali del Nord si erano dichiarati favorevoli all’uccisione di Falcone e Borsellino”.
Capitolo dopo capitolo, che sarebbe come dire colloquio dopo colloquio, prende corpo tutta la vasta prosopopea delle vulnerabilità del sistema politico italiano, tutto l’andazzo zoppicante della società dello Stivale, adagiata miseramente su un letto fatato della cui inesistenza potrebbe venire a conoscenza in maniera brusca, capitombolando. Un libro che potrebbe essere utile per gli studiosi avvenire. Chiudiamolo in un baule e mandiamolo in orbita. Fra due, trecento anni, qualcuno lo troverà.
Andrea Camilleri-Saverio Lodato, “Di testa nostra. Cronache con rabbia 2009-2010”, Chiarelettere 2010
Giudizio: 3 / 5 – Impietoso