Possediamo, tutti senza esclusione alcuna, il gusto estremo alla lamentela.
Ci lamentiamo di ciò che abbiamo e di ciò che non abbiamo.
Ci lamentiamo di ciò che siamo e di ciò che non riusciamo ad essere.
Ci lamentiamo di ciò che fanno gli altri,e anche di ciò che non fanno.
Ci lamentiamo.
Ci sentiamo meglio dopo che ci siamo lamentati. Affermiamo il nostro io. Facciamo sentire la nostra voce. Delineiamo il nostro posto nel mondo.
Sia chiaro, alzare la voce può avere la sua funzione. Si alza la voce contro le ingiustizie del mondo, si alza la voce per difendere qualcuno che non può difendersi da solo, si alza la voce per il bene della comunità.
Ma siamo onesti, il più delle volte, ciò di cui ci lamentiamo è futile, e se è utile lo è solo a noi stessi. Imputiamo all'altro (chiunque esso sia) una colpa, una negligenza, e ci sentiamo di dover combattere per risolverla. Guai a fermarsi, guai a chiedersi quale sia la causa, quale siano le motivazioni. Abbiamo già dato per scontato che le motivazioni non ci sono. Ecco perchè riteniamo lecito lamentarci. Perchè non possiamo tollerare un'ingiustizia.
Sì, perchè quello che noi riteniamo è sicuramente giusto, sacrosanto e inviolabile. Che stiamo chiedendo noi, un favoritismo, un'eccezione, che stiamo violando noi una regola sociale con la nostra richiesta, questo, no, non è plausibile.
L'errore umano esiste, ma non ci riguarda.
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