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L'itinerante

Creato il 12 febbraio 2015 da Faustotazzi
L'itinerante
L'ho comprato all'incrocio, sotto un semaforo a Sèvres. L'ho comprato per nascondermi, per sentirmi buono e mettermi in pace il cuore. L'ho fatto ritornare due volte, che la prima manco l'avevo visto ma il rosso del semaforo è durato troppo. L'ho preso perché ho pensato che se lo avessi lasciato in bella vista sul sedile posteriore della mia BMW parcheggiata per strada nessun s.f.d - senza fissa dimora - avrebbe mai pensato di toccarla, di rompere i vetri, di pisciarci sopra, dormirci dentro, farci il nido, il letto, la tana.Perchè li ho visti la sera entrare nei tombini, la notte dormire sull'aria calda delle grate gonfiando le penne come i piccioni di rue Lecourbe dove incontra i boulevards des Marechaux. Li ho visti con sigarette, cani, birra, vino. Li ho visti nascondere le loro tende Quechua sotto i cespugli, nascondere baracche nel folto della foresta di Meudon, costruire rifugi di rifiuti sulle scarpate della tangenziale.Li ho visti attaccati a una radiolina a transistor che pensavo nemmeno più ne esistessero, ad ascoltare chissà quali canzoni; li ho visti chiamarmi, prendere le monetine, sorridere, ringraziare; li ho visti tornare pochi minuti dopo e manco ricordare fossi già passato prima. Li ho visti rovistare nei cestini e nei cassoni dei rifiuti, li ho visti nascondere carrelli scassati, rubati a chissà quale supermercato, pieni di stracci e altra merce di valore. Ho visto sguardi di sfida e ho visto altri occhi liquidi e tristi seduti sulle panchine e nei parcheggi. Li ho visti sotto forma di fagotti informi d'inverno, sacchi a pelo o cartoni negli androni dei palazzi del sedicesimo. Li ho visti sputare per terra, pisciare nei corridoi della metropolitana, li ho visti urlare incazzati con il mondo o con chissà cosa. Li ho visti stare soli in silenzio e li ho visti parlare troppo da soli. Ce n'è una a Milano, sta a un semaforo da qualche parte in Viale Beatrice d'Este che esattamente ora non ricordo più. Finita laggiù chissà come, spinta alla deriva da chissà quale droga, quando passi in auto manco ti chiede l'elemosina, ti parla - anzi si parla - di qualche cosa sua lontana, che sta sempre dall'altra parte dal finestrino, poi ti guarda fisso attraverso il vetro e passa alla prossima auto. La ritrovi la ogni giorno, ogni mese, ogni anno che nonostante tutto, nonostante tutta la sua precarietà, può sembrare immortale.
E lei che fa volontariato. Li accoglie nelle sue sere, li aiuta, li accudisce come fossero figli suoi, li sfama infilando cucchiai in bocche bavose e sdentate, sta con loro, li ascolta, li comprende, gli parla. Loro in cambio ne abusano, la scroccano, dormono su di lei, affondano la loro testa sporca tra le sue cosce chiare fino a trovarsi nel suo intimo. Godono di lei come nemmeno potrebbe il più caldo dei suoi amanti, il più ricco dei suoi clienti, il più caro dei suoi parenti. Lei inconsapevolmente si offre a loro intera, la sua bellezza, la sua grazia, il suo amore. E loro ne abusano, ne approfittano, la vìolano, la violentano, diretti e spudorati come come solo il più povero, il più misero, il più meschino, il più indigente, il più disperato uomo al mondo riuscirebbe a fare.Sono geloso, sono profondamente, possessivamente, ossessivamente, violentemente geloso. Sono geloso di questi pezzenti clochards, lo ammetto. Magari rispetto anche la loro sofferenza, questo presunto mal di vivere ma non sopporto che mettano le loro mani luride, unte, cenciose addosso a lei. Penso che anche tutto lo spleen di questo mondo non possa essere un alibi per pisciare sulle scale del Pont Neuf o nei corridoi della metropolitana perché ci sono molti altri posti per farlo, perché lì con lei ci sto io. Lo fanno troppo, spesso a sproposito, quasi sempre nel posto sbagliato.
I bateaux-mouche partivano dal Pont Neuf, studiavo rosee Gazzette d'estate sulle panchine in Square du Vert Galant, la gente passava, bo-bo passeggino e sigarette, gli universitari si facevano di pane e formaggio e vino rosso, a gambe incrociate sull'erba. Di clochard ce n'erano parecchi, mangiare su una panchina è uno dei pochi lussi alla loro portata. Comunque inconsapevoli della fortuna di essere casualmente nati a occidente e sopra il tropico, dalla parte giusta del mondo. E a volte mi chiedo cosa succederebbe se un giorno, a un certo punto, loro si alzassero tutti insieme, e in un coro mi rispondessero:
E' vero che dalle finestre non riusciamo a vedere la luce perché la notte vince sempre sul giorno e la notte sangue non ne produce.È vero che non riusciamo a parlare e che parliamo sempre troppo. E' vero che sputiamo per terra, che non vogliamo pagare la colpa di non avere colpe e che preferiamo morire.E' vero che cerchiamo l'amore sempre nelle braccia sbagliate, è vero che non vogliamo cambiare il nostro inverno in estate. 
E' vero che non ci capiamo, che non parliamo mai in due la stessa lingua. E abbiamo paura del buio e anche della luce.
E'  vero che abbiamo tanto da fare e non facciamo mai niente. E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno e una voce in cui non riusciamo a stare insieme, dove non riconosciamo mai i nostri fratelli,È vero che beviamo il sangue dei nostri padri, che odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici.Ma ho visto anche degli zingari felici ubriacarsi di luna, corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra.

Piccola nota a margine: rispetto pure cani e piccioni ma su di lei anche loro lo fanno troppo, troppo spesso e quasi sempre nei posti sbagliati.

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