Magazine Cinema
La trama (con parole mie): Marc Lewis, operatore di macchina ed aspirante regista, ha passato l'infanzia preda degli abusi del padre, uno studioso delle reazioni dei bambini alla paura, sviluppando un insano legame con il voyeurismo applicandolo alla ricerca della ripresa perfetta del terrore.Così, spinto da impulsi omicidi, toglie la vita a numerose donne riprendendo ogni istante delle uccisioni per poi vederle e rivederle in attesa del suo Capolavoro.Quando la giovane Helen, che vive nel palazzo di cui è proprietario, entra nella sua vita, l'uomo comincia a vedere una crepa nel guscio che ha costruito dai tempi dell'infanzia rispetto al mondo: i sospetti della madre della ragazza e la polizia, però, torneranno a metterlo alle strette.
Normalmente, che sia in seguito al percorso di studi o per pura e semplice passione, nel momento in cui ci si avvicina al Cinema - così come a qualsiasi altra forma d'arte -, si trascorre sempre un certo qual periodo prede del radicalchicchismo e del bisogno quasi fisiologico di scoprire quali siano i titoli giudicati fondamentali perchè ci si possa considerare degli esperti nell'ambito: fu nel corso di uno di questi passaggi che mi ritrovai per la prima volta ad affrontare una delle pellicole più note e celebrate di Michael Powell, regista poco conosciuto rispetto ai grandi Maestri della settima arte fa parte dei non appassionati eppure incredibilmente grande, autore di pietre miliari quali Scala al Paradiso e Scarpette rosse.
L'occhio che uccide mi colpì immediatamente soprattutto per l'influenza che mi parve aver avuto rispetto ad uno dei primi registi che permisero il progressivo avvicinamento al Cinema del sottoscritto, quel Brian De Palma ormai considerato magico per i movimenti di macchina, i piani sequenza, la capacità di celare il torbido sotto il patinato - esempio perfetto quello che è e resta uno dei suoi film migliori, Omicidio a luci rosse -: il pensiero che un regista di formazione assolutamente classica, figlio di un secolo decisamente distante nel tempo e nell'approccio - Powell nacque nel 1908 - a cinquanta e più anni potesse produrre un'opera profondamente disturbante come questa, all'avanguardia, almeno per contenuti, rispetto agli standard dell'epoca, mi lasciò strabiliato, acquistando ancora più valore per aver ispirato uno dei cineasti che all'epoca apprezzavo maggiormente.
Rivisto a distanza di dieci anni dall'ultimo passaggio sugli schermi dell'allora casa Ford questo supercult del thriller comincia a mostrare il fianco all'incedere del tempo, finendo per risultare, per certi versi, troppo datato per essere davvero compreso ed apprezzato dal pubblico attuale: questo è un limite non indifferente, che mina lo status di Capolavoro con il quale questo lavoro monumentale aveva occupato un posto particolare nel mio cuore di appassionato di Cinema negli anni, eppure non sono riuscito a trovare ulteriori difetti a quello che pare una versione allucinata e perversa - pur se soltanto nella sua indagine della psiche distorta dagli esperimenti del padre del protagonista - dei Classici di Hitchcock, che solo con Frenzy riuscì a sfoderare un livello di perversione simile a quello mostrato da Powell in questo caso.
Celato da un look profondamente legato alla Golden Age dei grandi studios, girato completamente all'interno dei teatri di posa - gli stessi sfruttati con una robusta dose di ironia anche nel corso della pellicola, battute sul regista comprese - e tirato a lucido il più possibile - per i tempi - L'occhio che uccide nasconde infatti un cuore nerissimo che culmina non tanto con le esecuzioni delle vittime per mano - e per macchina da presa - di Marc Lewis, ma con il suo confronto con la madre della giovane Helen, la prima a fare davvero breccia nel cuore dell'omicida quasi regalando all'uomo la speranza di una futura guarigione e scatenando un - seppur distorto - senso di protezione: lo studio del protagonista ammantato di ombre e la figura della donna che compare neanche fosse un fantasma hanno risvegliato ai miei occhi le immagini del potentissimo duello tra Harry Powell - curioso il cognome in comune - e la signora Cooper in La morte corre sul fiume.
Un grandissimo classico che ancora oggi, dunque, merita almeno una visione per scoprire - o riscoprire - quanto le grandi produzioni e le grandi idee possano fare anche di fronte ad epoche, mode e stili completamente diversi: senza contare che, dopo M - Il mostro di Dusseldorf e l'appena citato La morte corre sul fiume, siamo probabilmente di fronte ad uno dei vertici assoluti che la settima arte abbia dedicato alla figura del serial killer prima degli studi moderni, di Manhunter e de Il silenzio degli innocenti.
MrFord
"With every bet I lost
and every trick I tossed
you're still the one who makes me feel much taller than you are
I'm just a peeping tom
on my own for far too long
problems with the booze
nothing left to lose."Placebo - "Peeping Tom" -
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