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“L’occhio che uccide”: Pulp Video ripropone il capolavoro di Michael Powell

Creato il 25 novembre 2014 da Filmedvd
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Mark Lewis, un operatore di mestiere, fa foto pornografiche per un giornalaio di Soho e nei ritagli di tempo si cimenta con un documentario in cui raccoglie le reazioni di sgomento delle proprie vittime un attimo prima di morire. E’ questa la premessa agghiacciante ed epocale de L’occhio che uccide, il film più controverso e ancora oggi più radicale del regista inglese Michael Powell, diretto nel 1960 in solitaria e senza il sodale Emeric Pressburger: un capolavoro riproposto da Pulp Video in una riedizione in Dvd e in Blu-Ray in formato widescreen, priva di extra ma con un menù degno del fascino che il film continua ad esercitare ancora oggi.

L'occhio che uccide Dvd

Il protagonista de L’occhio che uccide, Mark Lewis, non si limita ad immortalare chi passa a miglior vita per sua stessa mano, ma la sua cinepresa consente al malcapitato di turno di specchiarsi un istante prima di venire ucciso. Inutile dire che il mezzo cinematografico non era mai stato piegato, prima di allora, a un’esigenza metaforica così mortifera. Perché è proprio questo che fa Powell: assimila inequivocabilmente la macchina da presa a una sevizia, alla punta di una lama, a uno strumento in grado di annullare spietatamente chi incappa in esso e restituire una polaroid istantanea della sua stessa angoscia.

Nella sua fusione di voyeurismo e sadismo, di perversioni ancestrali e tensione elettrizzante, quello di Powell è ancora oggi un film inimitabile sulle pulsioni scomposte legate all’audiovisione, sull’ossessione / compulsione del vedere, sulla remissività caratteriale costruita ad arte che vorrebbe occultare ciò che è subdolo ma non può certo nasconderlo dietro un dito; sulla timidezza che cela ferite più profonde, sull’assillo per se stessi e per il proprio passato che inevitabilmente non può che tradursi in un’affezione morbosa per l’altro. Mark mira alle prostitute e all’impudico – cosa c’è di più pornografico di una morte ripresa in quel modo? E’ un tema spinoso, la morte e la sua rappresentazione, anche nel cinema di oggi – ma ha vergogna prima di tutto delle sue cicatrici, quelle che non si vedono e che pure continuano a chiedergli un tributo.

peeping tom

L’autobiografia filtra tra le fessure di una “pizza”, rivelando piano piano il dramma innominabile di un bambino osservato per tutto il tempo da uno sguardo esterno, mai da solo, se non in compagnia delle perversioni paterne che lo trattavano come un oggetto clinico per i loro esperimenti. Un’intimità con se stesso che la vita gli ha negato e che adesso Mark, schiavo di un inconscio preda del perturbante e del rimosso, cerca nella complicità con chi finisce nelle sue mani di carnefice. Nell’impossibilità di costruire relazioni normali, gli è rimasta solo la possibilità di isolare un lampo in cui rendersi realmente decisivo per qualcun altro, ergendosi ad arbitro dei destini umani.

Perché niente è così distante eppure allo stesso tempo familiare quanto la morte, come Mark sa bene e come le vittime imparano esperendolo a loro stesse spese. Quella di Peeping Tom è un’indagine dai tratti marcatamente neuropatologici, sottilissima e magniloquente nel suo involucro da mefistofelica e quasi fiabesca parabola hitchockiana. La critica a suo tempo rimase inorridita e la carriera di Powell ne venne fuori ridimensionata, ma a rivedere oggi L’occhio che uccide è difficile non stupirsi e trattenere il fiato dinanzi al magistrale uso del colore e della soggettiva, o al cospetto di un battito cardiaco che irrompe in scena palesando una colpevolezza che non ne può più di rimanere inascoltata.

peeping-tom

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