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L'OCCHIO DEL NOVECENTO. CINEMA, ESPERIENZA, MODERNITA' di Francesco Casetti

Creato il 20 novembre 2015 da Ifilms
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Scritto da Alessandra Mallamo
Categoria principale: Rubriche
Categoria: Libri di cinema
Pubblicato: 20 Novembre 2015

casettiGiunta all'ultima pagina del libro di Francesco Casetti, sono andata a cercare L'archeologia del sapere di Michel Foucault. Per molte pagine ho avuto la sensazione che lo stile argomentativo di Casetti fosse una dimostrazione di come la metodologia di ricerca proposta dal filosofo francese potesse essere perlomeno tentata nelle ricerche di teorie del cinema.

Rompendo con gli schemi classici dell'approccio scientifico che caratterizza le scienze umane, Foucault abbandona l'idea di un sapere totale, a favore di un metodo che sia capace di comprendere i fenomeni nello spazio della loro dispersione, senza annullarne complessità e differenza. Sono convinta che il testo di Casetti apra a questa dimensione dal momento che l’obiettivo del suo lavoro sta nel verificare il ruolo che la settima arte ha giocato rispetto al suo tempo.

La ricerca si confronta così con l’irriducibilità che caratterizza le tante istanze e possibilità emerse sulla superficie dello schermo nel corso di oltre un secolo, partendo dalla consapevolezza che il problema/sapere del cinema è quello della modernità: l'impossibilità di ridurre l'esperienza a un unico principio capace di spiegarla.

I casi scelti dall’autore, o meglio - come egli stesso scrive - le immagini che lo hanno scelto, non descrivono un percorso cronologico, né tanto meno servono a dimostrare l'incessante sviluppo logico della settima arte. Quello di Casetti è un gesto controintuitivo e velato che incide proprio sull'idea di continuità con cui spesso guardiamo alla Storia.

Più della sintesi unitaria gli interessa accostare e vedere come agiscono gli uni su gli altri film, sequenze, personaggi, appartenenti a momenti diversi della storia del cinema, comprendere come in molti casi essi siano immagini di una contraddizione, a volte un'anomalia anche rispetto al loro tempo, che non smette di interrogarci.

Coerentemente, la categoria che realizza la condizione di possibilità dell'arte cinematografica è la negoziazione: cinema come "straordinario luogo in cui si opera una messa in forma negoziata delle istanze che circolano nello spazio sociale" (Casetti, 278) capace di provocare così una ri-articolazione di quelle istanze.

Un momento ambiguo con cui l'autore non evita di confrontarsi, poichè nel ri-articolare del cinema si nascondono tutte le doppiezze di un dispositivo che negoziando ricompone e dà ordine, incidendo così sullo spazio di libertà dei soggetti coinvolti nella sua esperienza.

Sebbene l'ipotesi della negoziazione sia del tutto condivisibile e affascinante, non credo che stia qui il passaggio saliente della ricerca di Casetti. Piuttosto è nell'aver colto il problema della pensabilità del cinema a partire dalle sue aporie e nell'aver sviluppato la sua ipotesi come ricerca non di una legge ma di una regolarità, osservata a partire dalla complessità di direzioni e dalla naturale dispersione del discorso cinematografico (che è quella di tutti i discorsi).

Per farlo l’autore rimane nel suo tempo, ovvero utilizza forme di riflessione diverse rispetto a una tradizione che non basta più ad affrontare l'oggetto del suo discorso. la strategia consiste nel “pianificare”, nel mettere letteralmente “sullo stesso piano” i film e i discorsi che, dalle ricerche teoriche alle recensioni, dai diari personali agli articoli di giornale sugli aspetti sociologici dell'esperienza filmica, creano un campo, una superficie di movimento per l'argomentazione.

Questo trattare il cinema come cosa tra le cose è fondamentale per chiudere con la logica dell'interpretazione come forma di trascendenza, con l'idea che i film siano sempre rappresentativi di qualcosa d'altro che se ne sta nascosto dietro le immagini e debba essere portato alla luce, con l'idea che vi sia un ordine simbolico precostituito di cui il cinema può essere riflesso, con l'idea che il film sia una forma di espressione pura e immediata e che la critica, e in generale la parola sul cinema, rappresenti invece il momento della mediazione razionale che finalmente illumina.

Chiudere con il primato dell'autore, dell'opera, del nuovo sul vecchio, e aprire all'idea che ci siano altri luoghi per il cinema che moltiplichino i discorsi, che ipotizzino e descrivano come esso possa rappresentare per noi un campo di sapere, cioè di uno spazio in cui siamo situati senza poter mai comparire come proprietari.


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