L’occhio della creatività, tra genio e follia. 1 parte

Da Psychomer
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Maurizio Mazzani
maggio 4, 2011Posted in: psicologia, psicologia clinica

A primavera di alcuni anni fa partecipai come relatore al convegno “Arte e Medicina” inserito nel festival celebrato nella cittadina di Oriolo (Rm).
Il tema del convegno era centrato sull’unità tra mente e corpo ed in modo particolare si poneva l’accento sulla possibile esteriorizzazione del sintomo fisico attraverso la produzione creativa con il conseguente affievolimento di esso.

Certo non è stato un caso che si parli di ciò, la formazione del disturbo psichico e psicosomatico, infatti, sono spesso conseguenti al blocco dell’emozione, la mancanza d’espressione emotiva talvolta sfocia proprio nella patologia.

Diversi studi che sono stati effettuati hanno dimostrato che la sintomatologia patologica tra origine dalla insufficiente espressione dell’emozioni, C. G. Jung parlava di blocco creativo quando cercava di spiegare il perché alcune persone si trovino caratterizzate da chiusura e da mancanza d’esteriorizzazione della propria essenza emotiva.

La letteratura psichiatrica segnala da sempre una forma assai interessante di contiguità fra genio e follia. Strindberg, Schubert e Van Gogh hanno prodotto opere straordinarie dall’interno di esperienze soggettive di livello psicotico. La creatività del matematico ha punti di contatto stretti con quella dell’artista, è il caso di John Nash che si aggiunge ad una lista già lunga. Scriveva Ignazio Matte Blanco che il pensiero dell’uomo si muove continuamente su due strade diverse. Quella della logica formale caratterizzata dalla tendenza a distinguere e a precisare, e quella del sogno in cui l’accostamento è uguaglianza, la parte è il tutto, dove l’aderenza al principio di realtà non è obbligatoria.

Noi siamo esseri creativi per eccellenza, se facciamo un attimo riferimento al processo della visione, troviamo subito che esso è in un certo qual senso un atto creativo specifico. E’ nota l’espressione che la bellezza sta soltanto negli occhi di chi guarda… il mondo dell’esperienza è un prodotto dell’uomo che lo percepisce!
Non esiste corrispondenza tra l’oggetto osservato e la costruzione che il cervello effettua su tale oggetto.

Dagli studi sulle illusioni percettive degli studiosi della “Gestalt-theory” (orientamento teorico di studi psicologici orientati alla comprensione della modalità percettiva tipica dell’uomo), hanno fatto riflettere sul come percepiamo; ad esempio uno stesso schema visivo di una figura ambigua (il percepito) può essere interpretato come un profilo di una bella fanciulla, oppure di una vecchia “befana”, ovvero in un altro caso, lo stesso disegno può essere evidenziato sotto il profilo simmetrico di due facce, oppure focalizzato come figura centrale di un calice.
La prima considerazione da fare, è che la percezione (interazioni tra noi e l’ambiente materiale che ci circonda) non identifica il mondo esterno, in quanto è una simulazione ricostruttiva fortemente influenzata dall’emozione e dalle dominanti cognitive (le nostre idee sovrane), il tutto generato dal cervello sotto il controllo delle determinanti genetiche.

Pertanto vediamo il mondo non come in effetti veramente è, ma mediante sensazioni cerebrali che interpretano la realtà generando immagini, suoni, odori e sapori, per decifrare un universo che di per se stesso non è colorato ed inoltre è silente, inodore ed insipido, …. in cui la densità della materia, relativa alla nostro tatto, produce una misura del rischio della interazione corporea con l’ambiente.
E’ quindi notevolmente importante acquisire coscienza che vediamo il mondo così come lo percepiamo, perchè siamo uomini; ciò “non” vuol dire però, che la nostra elaborazione cerebrale delle percezioni sensoriali sia illusoria, ma che ciò che percepiamo è frutto di una trasfigurazione (una creazione personale) della realtà, attuata dal cervello in modo tale da essere utile alla nostra sopravvivenza ed alle nostre possibilità di indagine cognitiva e a regalaci le emozioni preziose per sviluppare la nostra creatività: pertanto è solo una più profonda riflessione creativa, su quanto percepiamo, che ci permette una più ampia conoscenza del reale.

Sì, la visione è in realtà un processo costruttivo per eccellenza. Ognuno di noi dunque, nell’atto visivo costruisce la propria percezione dell’ambiente fisico.
Così ancora nella formazione del mondo delle idee troviamo un altro esempio della caratteristica intrinseca dell’essere umano quale essere prettamente creativo. Nell’interpretazione della realtà, vediamo che incorrono in tale atto elaborativo della vere e proprie attività costruttive.

L’esperienza, il corredo genetico e la particolarietà dell’ambiente, sinergicamente partecipano alla formazione del nostro bagaglio d’idee. E’ proprio esso che costituisce la fonte dalla quale attingiamo quando ci volgiamo in generale ad una nuova costruzione atta ad interpretare l’ambiente, (questo perché ognuno di noi quando interpreta il mondo, persone e ambiente fisico, costruisce dei significati che sono solo personali, dunque lo interpreta in un certo qual modo inventandolo “agendo”, quindi, su di esso con un’azione di produzione creativa). In particolare, anche nella creazione espressiva per eccellenza come ad esempio, la musica, la scrittura, l’artigianato, la pittura, che sono particolari manifestazioni dell’attività cognitiva libera del genio creativo umano, troviamo che anch’esse traggono la loro energia dal nostro magazzino di conoscenza sedimentato nel corso della nostra evoluzione ontogenetica d’interazione coll’ambiente.

Il particolare cocktail ereditarietà, esperienza e ambiente, unico per ciascun individuo costituisce, dunque, la fonte dalla quale partorisce ogni forma di pensiero sia divergente che convergente.
Sì, la formazione della nostra fonte di conoscenza avviene nell’interscambio tra noi e l’ambiente (intendendo ambiente: il mondo fisico, il mondo animale e ovviamente l’interazione con i nostri simili), ed è proprio l’esperienza, come detto, che costituisce la condizione per incrementare la nostra conoscenza e favorire la produzione del pensiero divergente, e la possibilità di svincolarci dall’ideazione rigida che costituisce ostacolo alla produzione creativa.

La capacità di sviluppo dell’immaginario e predisposizione al nuovo, è infatti, basata proprio sulla liberazione dalle rigidità, costituita dai preconcetti cognitivi e delle concezioni obsolete (binari coattivi dell’attività mentale).

Continua…

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