
Non sarò certo originale dicendo che ne sono rimasta stregata. Come già l'anno scorso con Metropolis, mi hanno affascinato soprattutto le scenografie e la recitazione. Scenografie geniali, fondali dipinti che sono il massimo dell'espressionismo, semplici come concezione (fondali appunto) ma capaci di ricreare un paesino con le stradine medievali, le prospettive distorte che rispecchiano l'incubo e la follia che le genera dando un senso di incertezza, di precarietà, di vertigine incontrollabili e di grandissima bellezza visiva. Anche gli interni sono meravigliosi, claustrofobici per distorsione e sempre aperti sull'esterno con grandi vetrate e spacchi di luce come lacerazioni.
La recitazione è anch'essa superespressionista, antinaturalistica, e irresistibile. Soprattutto il dottor Caligari, un Werner Kauss talmente diabolico da risultare sublime. E mi hanno preso il cuore le ragazze alla fiera, i gendarmi, gli impiegati del municipio, il tipo dell'organetto con la scimmia, i signori in cappello (cappello alto ma non proprio a cilindro cui non sono riuscita a dare un nome) pronti a intervenire per ristabilire l'ordine, e naturalmente gli incantevoli pazzi nel cortile del manicomio. Ma il rovesciamento di punto di vista narrativo alla fine, oltre a sorprendermi perché nella mia santissima ignoranza non me l'aspettavo, mi ha fatto pensare molto, ripensare al senso di tutto il film, al perché di quella straordinaria scenograzia, al potere del cinema... e mi ha anche fatto ripensare a film come Il sesto senso o The others, che evidentemente non sono così originali in fondo. Proprio vero che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, e nemmeno nel buio della sala cinematografica.
