Stamattina, mentre facevo colazione e guardavo i notiziari, non ci volevo credere: in Francia è stata vietata la manifestazione contro la proiezione del famoso film su Maometto, ma il settimanale satirico “Charlie Hebdo” può pubblicare vignette anti-islamiche. Nel contempo, la casa reale britannica può esigere il ritiro delle foto che ritraggono a seno nudo l’ex-borghese Middleton e procedere a norma di legge contro giornali e giornalisti (ci sarebbe da dire qualcosa anche sul concetto di regalità, ma questa è un’altra storia). Il concetto di “etica” dev’essere stato ridefinito, ma io non ne sono stata messa al corrente — e con me, suppongo, anche alcuni miliardi di altre persone.
Il primo ministro francese, Jean-Marc Ayrault, ha ricordato che la Francia è «un Paese in cui la libertà di espressione è garantita, compresa quella di caricatura». Che bella cosa, nevvero? Perfettamente conforme all’articolo XI della Déclaration des droits de l’Homme et du Citoyen del 1789, che ancora figura nell’attuale Costituzione francese: «La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’Homme: tout Citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement…» — la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’Uomo: ogni Cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente. Ma M. Ayrault dimentica in parte questo medesimo articolo, e in toto l’articolo X della medesima Déclaration; perché l’articolo IX prosegue e si conclude così: «… sauf à répondre de l’abus de cette liberté, dans les cas déterminés par la Loi», salvo rispondere dell’abuso di questa libertà, nei casi determinati dalla Legge. E l’articolo X recita, integralmente: «Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la Loi», nessuno deve essere molestato a causa delle proprie opinioni, anche religiose, purché la loro manifestazione non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge (La Déclaration des droits de l’Homme et du Citoyen del 1793 è più dettagliata; l’articolo 7 sul diritto di espressione dichiara: «Le droit de manifester sa pensée et ses opinions, soit par la voie de la presse, soit de toute autre manière, le droit de s’assembler paisiblement, le libre exercice des cultes, ne peuvent être interdits. La nécessité d’énoncer ces droits suppose ou la présence ou le souvenir récent du despotisme.» — il diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni, sia a mezzo stampa che in ogni altra maniera, il diritto di riunirsi pacificamente, il libero esercizio dei culti, non possono essere proibiti. La necessità di enunciare questi diritti presuppone o la presenza o il ricordo recente del dispotismo. E l’articolo 6 sulla libertà chiarisce: «La liberté est le pouvoir qui appartient à l’homme de faire tout ce qui ne nuit pas aux droits d’autrui ; elle a pour principe la nature ; pour règle la justice ; pour sauvegarde la loi ; sa limite morale est dans cette maxime : Ne fais pas à un autre ce que tu ne veux pas qu’il te soit fait.», ovvero la libertà è il potere che l’uomo ha di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti altrui; essa ha per principio la natura; per regola, la giustizia; per salvaguardia, la legge; il suo limite morale sta in questa massima: “Non fare a un altro quel che non vuoi sia fatto a te stesso”.»).
Ora, io non so se e in quale misura i sacri princìpi della Déclaration vengano applicati e rispettati nella Francia di oggi: però, se invochi un articolo di quella dichiarazione, non è che puoi disattenderne un altro perché ti fa comodo. Così, vorrei sapere quale idea di libertà, e dunque di rispetto e infine di abuso della stessa, abbia M. Ayrault — e con lui ogni altro onesto paladino del 1789 e delle sue conquiste. E vorrei sapere anche — ma tu guarda che pretese che ho — che gli dice la testa a tutti questi spiriti liberi e illuminati i quali, seduti sulla polveriera che è diventato il pianeta, giocano allegramente col fuoco neanche fossero artisti di strada. Inconsapevoli? Stupidi? Criminali? Si accettano scommesse.
Su una cosa non ci sono dubbi: l’islam non piace, l’islam fa paura, l’islam è superstizione e terrore — dicono: e di contro agitano i simulacri sublimi della ragione e della libertà targati antica Grecia, culla della civiltà europea e occidentale. Ma si sono dimenticati di una cosuccia, un fondamentale della Grecia classica: il concetto di hybris. M’imbarazza parlarne, perché so di averlo fatto ripetutamente — ma non è colpa mia se gli altri se lo scordano. Dunque non ci si ricorda — non si ha più nel cuore — l’idea e il significato della hybris: traducibile col termine di oltracotanza, ovvero lo spingersi in pensieri parole ed opere oltre il limite lecito statuito dalle leggi umane e divine. E se l’incapacità di riconoscere l’esistenza di un limite è già un segno di immaturità, il rifiuto di farlo espresso dalla hybris è qualcosa di ancora peggiore: nulla, per gli antichi, era più esecrabile.
Ma noi non siamo più antichi, e neppure moderni. Siamo post-moderni. E per noi superare ogni limite è divenuto sinonimo di libertà — più eccitante di un tiro di coca o del sesso estremo. Senza sapere bene che cosa stavamo facendo abbiamo buttato, con l’acqua sporca del tradizionalismo e delle convenzioni passatiste, il bambino della responsabilità e del rispetto. Incapaci di riconoscere ancora la bellezza e la fecondità del molteplice, ci siamo appiattiti sull’uno-solo e — traducendolo in politica, in economia, in estetica e in etica — ci siamo prostrati all’unipolarismo fisico e metafisico che minaccia il pianeta da decenni.
Così, accettando anzi avallando l’idea dell’islam come nemico principale non si fanno certamente gli interessi dell’Europa: piuttosto, si fa il gioco delle potenze extraeuropee interessate a impiantarsi il più stabilmente possibile nel cuore dell’Asia. E proclamando a gran voce il diritto a oltraggiare una religione che non comprendiamo e che non ci appartiene (non ci può appartenere) non si tutela certamente la libertà di pensiero ed espressione conquistata col sangue fra Varennes e la Vandea: piuttosto, si fa (di nuovo) il gioco delle potenze extraeuropee che vogliono ultimare la colonizzazione di quest’arancia azzurra per finire di spremerla.
Non so se sia finito il tempo dell’Europa; certo mi pare che stia finendo quello dell’Occidente — votato al tramonto già dal suo stesso nome. Potevano andare diversamente, le cose? Ma esse vanno sempre come devono andare, perché «la forza del Fato non si vince»— come è costretto a riconoscere persino Prometeo. E allora che l’Occidente, questo Occidente, finisca come deve finire. Soltanto, non illudiamoci che la nostra leggerezza sia quella dello spirito che s’innalza libero sulla materia. È soltanto la leggerezza della vanità, l’ombra del nulla, la bruma del crepuscolo.