Sbuco leggiadra dalle porte scorrevoli, trolley nella mano destra. Agli arrivi, tra la piccola folla assiepata davanti alle transenne, nessuno ad attendermi. Per un attimo, invidio quei passeggeri che qualcuno sta aspettando. Un attimo solo, fatto di incertezza e panico, poi mi dirigo fuori dall’aeroporto, nel freddo che avevo quasi scordato. Rabbrividisco nella felpa leggera. Che cazzo sono tornata a fare? Qualche vocabolo sparso e di importanza opinabile mi trapassa la mente: lavoro, mutuo, amici, famiglia, identità.
Ma, in fondo, avrei anche potuto mandare a puttane tutto e restare lì. Alla mattina presto, cazzeggiavo sulla spiaggia deserta e fredda, l’oceano inspiegabile a sfidarmi, qualche gabbiano che volava leggero – mi sedevo sulla sabbia, aprivo un quaderno e non trovavo parole da scrivere, la mia anima era completamente vuota. La sera, per un po’, l’ho passata alla casa del pretzle, friggendo o cuocendo al forno anelli e bastoncini – un lavoro del cazzo, la puzza di olio e formaggio che impregnava i vestiti, i capelli, la pelle; infine, il ristorante posillipo si era fregiato della mia collaborazione. Al pomeriggio, preparavo la sala con gli altri camerieri e Giovanni da Chieti mi esponeva i suoi ragionamenti che partivano da lontano: la morale, mai troppo velata, era che una scopata tra me e lui sarebbe stata cosa buona e giusta, in quanto connazionali. Sai l’estero ha i suoi vantaggi, diceva Giovanni da Chieti piegando un tovagliolo, per il lavoro e la gente open minded …ma le donne? ‘Ste straniere sono delle grandissime zoccole! Potrei restare qui solo se mi sposassi a un’italiana, devo trovare a un’italiana. Tu che dici Giuliè? Io alzavo le spalle e azzardavo: E’ proprio carina Francesca stasera. Giovanni da Chieti mi guardava scandalizzato: Che spreco! Se tante le volte, una sera di queste, dopo la chiusura, ti decidi a venire a casa mia, vedi come te la scordi a Francesca. Io sorridevo e rispondevo: E’ la natura Giovanni, non ci si può far niente. E lui alzava le spalle e andava ad apparecchiare un altro tavolo. Al martedì, avevo la serata libera e allora mi ficcavo in un bar – vincendo l’incapacità congenita di essere un animale sociale – bevevo accanto a degli sconosciuti, senza mai ubriacarmi, giocavo a parole con uno di loro – nella mia mente, fantasticavo sul sesso, immagini indistinte di corpi sfocati e bocche socchiuse – ma infine tornavo da sola al motel, convinta a non farmi offuscare la mente da nulla d’altro che me stessa. E poi, ogni settimana, una volta alla settimana, andavo in uno di quei bar col wi-fi e mi dilettavo a comporre e-mail sul portatile.
Cari mamma e papà,
l’azienda mi ha chiesto di restare qui ancora per qualche settimana, finché il progetto non sarà terminato. Mi sono grati per la disponibilità che ho mostrato nell’accettare questa trasferta. Sono conscia del fatto che mi sto facendo sentire poco e me ne scuso: purtroppo i ritmi lavorativi qui sono particolarmente serrati. Vi penso ogni giorno. [SENT]
Cara Dani,
qui si sta bene. Sto scrivendo un bel racconto, questi luoghi mi sono di grande ispirazione. I miei genitori hanno preso bene la scelta di un periodo sabbatico, hanno capito pienamente questa necessità che avevo, di staccarmi temporaneamente da tutto. Non so quando torno né se torno. [SENT]
C.A. Ufficio Risorse Umane
Egregio dottore, scusandomi per il poco preavviso, con la presente sono a chiederle un’ulteriore estensione del periodo di aspettativa. I gravi motivi personali che mi hanno spinta a richiedere una temporanea sospensione del rapporto lavorativo, persistono. Resto in attesa di sua cortese disponibilità a fissare un colloquio telefonico finalizzato a discutere la suddetta richiesta. Cordiali saluti. [SENT]
Ciao Piccolino, Gabriele,
alcuni mesi fa sono partita per una vacanza a come stai? Da qualche mese mi sono trasferita all’estero. Sto facendo colloqui presso alcuni fondi speculativi. Ho trovato lavoro in un piccolo fondo di venture capital. Nonostante le tante novità, penso a te e al tempo trascorso [DELETED]
Ciao Andrea, ho saputo da Ale del tuo matrimonio . Congratulazioni! Ci ho messo anni ma ti perdono per esserti sposato con una giapponese. Anche per me sono cambiate tante cose [DELETED]
Carissimo Nico,
come stai? Ormai, sono via da un bel po’ di tempo. Non so dire esattamente come stiano le cose. Se stare qui mi stia offuscando la mente più di quanto già accadeva a Milano. Passo le giornate a ciondolare in spiaggia e non ho più scritto una parola. Ho trovato lavoro in una pizzeria italiana, dall’alta finanza alle pizze (e neanche quelle, perché alla fine sparecchio o servo ai tavoli), se lo sapessero i miei mi ucciderebbero. Per sicurezza, gli ho detto che l’azienda mi ha mandato all’estero a seguire una fantomatica fusione cross-border. In compenso, c’è un cameriere abruzzese – fine linguista – che mi tacchina con dedizione e io ho affrontato la situazione con la maturità che da sempre mi contraddistingue, ovvero fingendomi lesbica. La sera quando non lavoro, vado in qualche locale per fare amicizie: devo dire che l’autoctono medio riesce spaziare tra una gamma molto vasta di argomenti (sport, feste sulla spiaggia, surf, sentenze spicciole sulla vita). Ho pensato a Giorgio in questi giorni: se mai torno in Italia, mi faccio coraggio e ci parlo, o la va o la spacca. Forse, dato l’andazzo, mi sa che torno domani. Comunque sia, quando torno ti chiamo. [SENT]
Carissimo Giorgio,
come probabilmente avrai saputo da Nico, sono via dall’Italia per un periodo sabbatico. Come ricorderai, si era presentata quell’opportunità di frequentare un master a Londra ma alla fine ho scelto di prendermi una pausa altrove: ero stanca di competizione e frenesia. Tutto questo per dirti che nella vita alle volte bisogna buttarsi e cogliere le occasioni più impensabili e rischiose [DELETED]
Ciao Piergi! [DELETED]
Diciamo che mi stavo ambientando. Al caffé schifoso, all’oceano, all’astinenza, agli intercalari abruzzesi, a un’altra vita che mi stavo facendo scivolare accanto passivamente – ancora una volta, come se non fosse la mia.
Di soldi ce n’erano ancora. Forse aspettavo solo quella mattina del cazzo in cui mi sarei svegliata, lucida e determinata, e avrei saputo cosa fare.
In fondo, potevo anche andare a nord e mettermi a cercare un lavoro che mi permettesse di mantenermi, tentare di creare una rete di rapporti sociali in cui trovare affinità e contatti umani regolari. Non dovevo per forza tornare. Potevo ancora recuperare.
Non che provassi nostalgia dell’Italia. Avevo pensato occasionalmente a Gabriele – il mio piccolino adorato che non c’era più – e anche a Luigi – rivedevo al ralenti la mia piccola inutile rivincita. Avevo pensato ai vuoti sabato sera al plastic a limonare con uno sconosciuto che in seguito non mi avrebbe richiamata. Alle serate al pub con Nico e gli altri, giocando a biliardo e bevendo birra rossa. Alle corse in moto. Ai pranzi della domenica. Al sesso con Andrew e all’amore con Andrea, anche se erano passati anni. A un pomeriggio di quindici anni prima, a un tramonto visto dal tetto di un palazzo e la sensazione di avere tutta la vita davanti e il mondo ai miei piedi. Al passato più prossimo, ai giorni affastellati gli uni agli altri senza aspettative né obiettivi.
Infine, la famosa mattina del cazzo è arrivata. Non potevo sfuggire a me stessa. A un luogo diverso sarebbe sempre corrisposta la stessa me. Potevo tenermi a bada per un po’ ma alla lunga la mia natura sarebbe sempre tornata. L’inquietudine sarebbe sempre stata uguale che fossi a Milano, a Londra o a Los Angeles. A Milano, almeno, c’era qualcosa che mi apparteneva davvero – dodici anni intensi e un miliardo di ricordi – i ricordi non te li porta via nessuno.
Fuori dall’aeroporto si congela. Posso sempre tornare indietro e ritentare, penso. Un giorno. Prima o poi. Forse. Magari.
Ci traffico un po’ e infine mi porto il cellulare all’orecchio. Uno, due, tre squilli. Il freddo mi fa piangere. Perché cazzo sono tornata? Una voce maschile, un accento simile al mio, mi risuona nell’orecchio. Mi schiarisco la voce: Ciao Nico, sono io, sono tornata.