Il capodanno mi annoia a morte. Non c’è mai un pomeriggio del 31 dicembre in cui qualcosa di miracolosamente interessante si spalmi addosso alla mia voglia di fare. Sembra tutto troppo calcolato: vedi la spesa, vedi la cena, vedi il dopo-cena, vedi dove dormire, vedi se invece te ne torni a casa, vedi l’ultimo che arriva perché ha deciso da meno di un minuto che questa sera merita d’essere passata insieme a te. Io invece questa sera ho qualcosa da fare e non passerò nemmeno un momento insieme a qualcuno, o meglio, così sembrerà.
/risciacquo/
Una brezza leggera zampilla sull’asfalto malandato fuori da casa mia. Il balcone zampilla anche lui e provoca scrosci d’acqua più ferro. Questo tempo mi affascina e mi fa venir voglia di bere tè o caffè, comunque sia qualcosa che mi dia la carica. Il letto era ancora caldo, ma era troppo tardi e Irene era lontana. Una leggera malinconia mi teneva inchiodato al pavimento. Le diciotto e quaranta ed ero ancora in mutande. Dovevo fare assolutamente una doccia prima di andare. Drin.
-Ehi, com’è?
-Eheh, meglio così. Anch’io.
-Ah, immagino. Boh, io penso sarò coi ragazzi.
-Mio zio m’ha regalato delle bottiglie e visto che Ire non può star con me, berrò il bicchiere della staffa con loro.
-Beato te. Non avevo i soldi per farlo.
-Sì, ma passa stasera, dai. T’aspetto.
-Dai! Non farti pregare, stronzo.
-Ok, ok, ciao.
Clic.
/sputo/
Casa di Paola e Gigio è sicuramente più accogliente della mia stanza, ma qualcosa mi manca e mi fa provare ribrezzo. Seduto sul divano parlo a Mauro, di certo il soggetto più simpatico della serata: «Devo andarmene da qui, devo andarmene. Anche quest’anno è passato come al solito: un altro pomeriggio di merda e qualcos’altro. E cosa ho concluso con questi altri trecentosessantacinque giorni? Niente. Il solito tornaconto perennemente in deficit, la lista di gente da debellare sempre in crescita, la mia donna sempre lontana, la mia vita cammina a un metro e mezzo da me impaurita da ciò che potrei innescare se tutto questo fosse modificabile. Il punto è che lo è, ma che allo stesso tempo si tratta di fiumi di velleità. Non sono il primo né l’ultimo uomo sulla terra a farsi domande del genere, che cammina con un bagaglio di speranze e buoni propositi, volontà da destinare a presunti figli nati dalla mamma più bella del mondo. Io provo un male tremendo a pensare al come, perché non ho piani da poter attuare e sono stanco di queste stupide idee che mi vengono in mente e muoiono là. Posso prenderne appunti, posso scriverci su, ma di certo non mi portano a quel che voglio. Irene. Mi manca da morire. Quindi, caro amico, cosa cazzo devo fare?» - il rivolo di saliva gli scendeva dalle labbra e si perdeva sulla barba lunga. «Uh? Ah!» - era così simpatico, peccato che non tutti fossero a quella maniera. Era come parlare con un manichino, tuo amico fedele per tutta la vita, ascoltatore professionista che non ti interrompe e che ti offre drink d’ogni tipo. Aria sognante da fumetto, quando non era ubriaco parlava come se le sue sinapsi stessero facendo l’auto-scontro senza cinture o limiti di velocità. Pura genialità. «Menomale che ci sei tu» - diedi una pacca sul suo petto e lui fece un sorriso, poi tornò a dormire come prima. Chissà cosa sognava lui.
«10!» disse il presentatore trash.
«9!» disse il presentatore trash lampadato fino al culo.
«8!» disse il presentatore trash mentre ci munivamo di spumanti e altre cose che scoppiano.
«7!» disse il presentatore trash mentre una tipa con le tette al vento passeggiava ocheggiando sul palco di, boh, Salsomaggiore Terme. Stanno sempre lì, quelli.
«6!» disse il presentatore trash.
«5!» disse il presentatore trash mentre fuori già scoppiavano i fuochi d’artificio di chi aveva l’orologio sbagliato.
«4!» disse il presentatore trash.
«3!» disse il prentatore trash. «2! 1!»
«BUON ANNO NUOVO!» dissero il presentatore trash, la folla di Salsomaggiore Terme in tivù, i miei amici e il cane Ciro.
«Buon anno nuovo una sega» dissi io sogghignando, col bicchiere in mano, sentendo in lontananza i battiti del mio cuore. Occhi bassi e pensieri belli. «Sì, buon anno una sega».
La festa terminò attorno alle cinque della mattina successiva. Il mio mal di testa raggiunse lussuose vette di dolore. Fu difficile persino chiamare Irene per augurarle una buonanotte, ma lo feci. Lei il giorno dopo non ricordava, ma lo feci. Era di una dolcezza disarmante.
Sid