Giovanni Agnoloni, scrittore, saggista, traduttore e recensore, scrive su PostPopuli bellissime parole a proposito de L'odore del riso. Il testo originale è qui. Buona lettura!
Angelo Ricci scrive in modo ficcante, per rapidi lampi che sono profonde stilettate. Lo si è visto in Sette sono i re, come anche nella sua – pur diversa per taglio – serie La parte di niente, di “ispirazione” bolañiana. Così è anche ne L’odore del riso, una storia formata da brevi e densi capitoli che tratteggiano, in un’alternanza di momenti di presente e passato, una storia a cavallo tra la Lombardia e l’Argentina. Due i temi di fondo: la memoria e gli odori: su tutti, come chiaramente evidenziato dal titolo, quello delle risaie della Lomellina, onnipervasivo e ossessivo come un rintocco di campana.
Campi, una raffineria e loschi traffici: questo lo scenario di base su cui s’innesta una vicenda di imprenditori criminali, intrecciata con vicende di estrema violenza appartenenti alla storia dell’Argentina a cavallo tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Echi di scorci di vita adolescenziali, che improvvisamente virano nel dramma, dall’originaria perdita dell’innocenza ai ricatti e alle manipolazioni della vita adulta. Tutto questo dà la misura della profondità temporale delle vicende narrate, che fondono mirabilmente le tinte noir con scenari dalle venature quasi neorealistiche, evocativi di sensazioni consonanti con quelle di alcuni romanzi o film del secondo dopoguerra.
Il merito principale di questo romanzo in formato e-book, però, è quello di farci sentire lo sporco delle cose insieme a quello delle persone. Sentiamo la polvere, il metallo, il sudore, con un’intensità veramente rara. Merito di Angelo Ricci, una delle penne più convincenti di uno scenario narrativo ultrarealistico, che racconta storie di provincia, sia pur aperte sul mondo, calate nel puzzo della vita, o almeno di quelle vite inevitabilmente macchiate dal colore dei soldi e dei compromessi morali necessari per accumularli.