Yūgen (幽玄) è, in giapponese, una parola “bidimensionale”. È il risultato di due caratteri: il primo significa indistinto, vago, profondo; il secondo, oscuro, misterioso. Yūgen, l’indecifrabile profondità, da arcano precluso alla comprensione umana diventa, a un certo punto della storia, il concetto estetico di bellezza recondita, nella poesia come nell’arte drammatica. Yūgen è ciò che un verso suggerisce appena e, nel teatro Nō, l’indefinibile attrattiva che promana dalle movenze dell’attore, vera e propria scenografia vivente intorno alla quale si materializzano solo pochi e quasi invisibili oggetti. Probabilmente yūgen potrebbe definire anche il fascino enigmatico che la cultura giapponese esercita sul nostro mondo occidentale. Tutto laggiù, dalla parola al gesto codificato, dai riti sacri alle cerimonie secolari, è, nel nostro immaginario, grazia e mistero. Qualcuno si ferma alla contemplazione, altri decidono di addentrarvisi. Nelle scorse settimane è andato in scena presso Federico II Eventi a Bari, L’odore intimo del Giappone, reading teatrale in tredici tempi ideato e diretto dalla scrittrice barese Mariella Soldo. La rappresentazione è stata concepita come una rassegna di brani scelti per far conoscere e apprezzare una letteratura che non gode ancora di massima visibilità nel nostro panorama editoriale. Riferimenti letterari ma anche musiche strumentali, contestualizzazioni mimiche, accenni al teatro Nō e profumo di tè verde ci accompagnano in viaggio attraverso un paese, o meglio, l’idea di un paese a cui il destino sembra aver riservato il privilegio di custodire ciò che il resto del mondo tende ad accantonare.
L’odore intimo del Giappone è tuttavia una lettura che non si ferma alla parola: scava ostinatamente tra le righe e ancora più a fondo, alla ricerca della causa prima, della sostanza di cui è composta quella segreta bellezza che abbiamo chiamato yūgen. La protagonista, interpretata da Barbara De Palma, è una donna che, delusa dalla cultura occidentale, si rifugia nelle pagine più belle e significative della letteratura giapponese ritrovandovi valori come amore, bellezza, sincerità di sentimenti e poesia. L’odore intimo del Giappone, cioè la sua essenza, viene identificato, in questa prospettiva, con le opere di Murasaki Shikibu, Sei Shōnagon, Bashō, Mishima Yukio, Tanizaki Jun’ichirō, Kawabata Yasunari e dei contemporanei Murakami Haruki e Kawakami Hiromi, le cui voci si alternano nella descrizione di un cosmo lontano eppure vicino al proprio modo di sentire. Come uno specchio nel quale lo spirito vede, perfettamente riconoscibile, la sua vera immagine, haiku, racconti e grandi romanzi riflettono il superamento di quell’antitesi fra tradizione e modernità che mentre in Occidente è rimasta eterna e insoluta, nel Sol Levante si è risolta in una simbiosi quasi totale. L’Occidente ha l’aspetto dimesso di “una stanca signora, ricoperta di falsi dissensi”, di una terra che fa della tradizione “un modo per vivere sotto terra” e la sola parola non basta comunque a spiegare l’abisso.
Ciò che lo spirito sente proprio, anche il corpo ha la necessità di narrarlo attraverso una serie di movimenti che ci riportano al significato originario di nō (能 abilità, talento), alla capacità di agire, alla somma maestria nell’esprimersi nella totalità del proprio essere. L’azione si svolge qui secondo un ideale personale, in una realtà sublimata e avulsa dal Brutto, sintesi di lirismo poetico, sentimento e immaginazione. Parafrasando Eraclito, se la realtà che gli uomini hanno in comune può essere paragonata a uno stato di veglia, la drammatizzazione è il momento del sogno in cui tutti, regista, interprete e spettatori, fanno ritorno al proprio particolare universo. Chi ha avuto modo di apprezzare, della stessa autrice, l’antiromanzo Nel nero profondo (Arduino Sacco Editore, 2009), caratterizzato da tutto ciò che è il contrario di un romanzo (testo frammentario, trama incerta, luoghi vaghi e protagonista anonima), ritrova in questo nuovo lavoro la stessa intenzione di condurre il pubblico “dall’immaginario esterno a quello interno” alla ricerca del non luogo di sé stesso. Ma, per capire meglio di cosa si tratti, abbiamo rivolto qualche domanda a Mariella Soldo.
Ne L’odore intimo del Giappone troviamo un tentativo di fuga da una cultura, quella occidentale, che ha difficoltà a rapportarsi con la propria tradizione rinnegandola completamente o, in certi casi, attaccandosi a essa in modo improprio. Il Giappone è forse l’unico paese al mondo che, se così possiamo dire, fa buon uso della tradizione riuscendo a tessere in una sola trama passato e modernità. Cosa manca, secondo lei, all’Occidente per non riuscire in questa “impresa”?
«Conosco il Giappone soltanto attraverso la sua letteratura, il cinema, i manga, e qualche giapponese, che spesso mi parla della sua terra. Non ho mai avuto la fortuna, almeno per il momento, di soggiornare nel paese del Sol Levante. Come per ogni identità pensante, anch’io mi sono costruita un immaginario che avvicino, quanto più possibile, al Giappone. Non sono in grado di fare un confronto concreto e diretto con l’Italia, paese d’Occidente che vivo giorno per giorno. Posso soltanto dire che in Italia c’è un attaccamento sconsiderato, sempre più crescente, alla politica e alla banalità. Lo vedo nelle istituzioni, che muoiono, nell’architettura, sempre meno ricercata, nel cinema e nella letteratura. Credo che all’Italia, come al resto dell’Occidente – salvo alcuni paesi – non manchi la tradizione, ma la volontà di supportare l’arte».
Gli autori citati nel testo sono tra i più vari e rappresentativi della letteratura giapponese. Si parte da Murasaki Shikibu e Sei Shōnagon passando per Bashō e i già moderni Mishima, Tanizaki, Kawabata per poi approdare ai contemporanei Murakami Haruki e Kawakami Hiromi. L’odore intimo del Giappone è una passeggiata nostalgica attraverso i temi fondamentali dell’amore, della poesia, della profondità e sincerità del proprio sentire, della bellezza. Valori effettivamente ritrovati, pur in una cultura opposta alla nostra, o vagheggiamenti letterari?
«La letteratura è più concreta di quanto si possa pensare, perché è realtà tangibile – da non confondere con quotidianità e ordinarietà, quindi non parlerei di vagheggiamenti. Ne L’odore intimo del Giappone si avverte il forte bisogno di ritrovare la poesia, la bellezza e la sincerità del sentire, anche se ogni cosa, nel mondo, vuole convincerci che tutto ciò non esiste più. Dopo il reading teatrale, alcuni spettatori ci hanno riferito di essersi sentiti catapultati, all’improvviso, in una dimensione diversa, lontana da quella a cui siamo abituati, ma allo stesso tempo, vicina, nonostante la diversità culturale. La protagonista del reading (interpretata da Barbara De Palma) ritrova nello spirito alcuni elementi del Giappone e li sente propri, attraverso il corpo».
A proposito di Kawabata Yasunari e Il paese delle nevi… Lei lo menziona quale dimostrazione dell’esistenza di un “non luogo della letteratura”. Questa definizione ci ricorda molto i “luoghi vaghi” del suo Nel nero profondo. Potrebbe dirci qualcosa in più su questo riferimento?
«Quando ho letto Il paese delle nevi di Kawabata ho provato una sensazione indefinibile. Per mesi non sono riuscita a identificarla. Kawabata è uno scrittore impenetrabile, rispetto a Tanizaki o Mishima. Più volte rileggevo le frasi, le pagine, ma afferravo sempre qualcosa d’impercettibile. Sfumature, piccole cose. Anche se chiudevo il libro, per ore restavo al suo interno, imprigionata. Com’era possibile? Perché? Il paese delle nevi è un romanzo senza spazio né tempo, un non luogo, definizione che riprende, leggermente, l’idea dei luoghi vaghi di Nel nero profondo, come lei ha notato. È uno dei motivi per cui ho voluto chiudere il reading con questo romanzo e lasciare che lo spettatore si spostasse dall’immaginario esterno a quello interno, per ritrovare il non luogo di sé stesso».