Magazine Cultura
La situazione italiana di oggi è nota a tutti, la storia recente ci vede passare repentinamente (e fortunatamente) da un governo impresentabile - e mi fermo qui - ad un governo "tecnico" composto da persone competenti e rispettabili. Inutile sottolineare il salto di stile, "etico ed estetico", come dice Marco Revelli, ma è estremamente utile, per quanti si richiamino ancora ad una cultura di sinistra, sottolineare la distanza di questo governo da quella cultura, se ancora esiste. Non dico niente di nuovo, la linea politica ed economica di Monti era nota da tempo e in qualche modo l'aveva anticipata quando nel 1994 scrisse l'ormai famoso articolo indirizzato al primo governo Berlusconi (resterà per me sempre un mistero come Monti abbia potuto pensare che Berlusconi potesse incarnare il pensiero liberista, o qualunque altro pensiero!)
Non mi aspettavo certo che Monti svestisse i rispettabili panni del conservatorismo della destra storica per abbracciare il pensiero di sinistra ma neanche mi aspettavo che quest'ultima svestisse i propri panni. Ed è questo il punto. Monti e il suo governo rappresenta nella situazione politica italiana di oggi un elemento di necessità aggravato dal fatto di non avere alternative ragionevoli. Sarebbe bello e naturale poter andare alle urne, come molti hanno invocato, ma oltre alla situazione economica, con il rischio default ancora attuale che non consente vuoti di governo, bisogna prendere atto che è difficile immaginare non la vittoria di questo o quel partito ma la formazione di una qualche maggioranza intorno ad un programma. Se poi volessimo una maggioranza di centro-sinistra, come vorrei io, beh allora l'immaginazione dovrebbe essere aiutata da qualche psicofarmaco.
Data la genealogia del governo "tecnico" Monti, una necessità senza chiare alternative, si sta infiltrando nella politica di sinistra, una visione di oggettività dell'economia liberista, una sorta di oggettivazione della tecnica che a questo punto non sarebbe "né di destra né di sinistra" ma opererebbe semplicemente per risanare la situazione economica avviando un nuovo programma di sviluppo. La tecnica non ha connotati politici, l'unico scopo della tecnica è funzionare, come insegna Umberto Galimberti, ma possiamo dire la stessa cosa per quella che Platone ha definito la tecnica regia, ovvero la politica? Se l'unico scopo della tecnica, anche politica, è funzionare questo significa necessariamente perdere i connotati ideologici di destra e di sinistra? Insomma se oggi si decidesse di votare per concedere al re il diritto di veto ci sarebbe ancora una separazione dei votanti a destra e a sinistra del podio presidenziale in base alla propria decisione di voto o ci si mescolerebbe indistintamente? Queste domande sono rivolte a chi si dichiara di sinistra perché adesso il pensiero politico ed economico di destra ha un esponente di tutto rispetto (finalmente per quanti si dicono di destra) ed è Mario Monti. Invece a sinistra ci si trova compressi su un pensiero politico che non appartiene né alla nostra tradizione né alle nostre prospettive di futuro. La situazione internazionale ha contribuito a disinnescare gli strumenti critici della sinistra parlamentare (i pochi ancora rimasti in seno al PD) ed inibisce ogni tentativo di indirizzare l'azione del governo Monti verso una politica redistributiva o addirittura verso un cambiamento di registro dello sviluppo economico.
In un bellissimo saggio-articolo, pubblicato su il Manifesto, Alberto Asor Rosa ha delineato con analitica precisione la dinamica che ci ha portato all'attuale situazione politica. Quello che lui, molto più autorevolmente di me, vede emergere come "una colossale pulsione neocentrista", io lo attribuisco ad un processo culturale strisciante di oggettivazione della pratica tecnica tanto da illudersi di perdere i connotati ideologici e politici che la caratterizzano. Insomma, non c'è una tecnica medica di destra e una tecnica medica di sinistra, non c'è una tecnica ingegneristica di destra o di sinistra. Se anche la politica è una tecnica perché dovrebbe continuare ad esserci una politica di destra o di sinistra? E' questa la tremenda domanda che sento aleggiare da quando si è insediato Monti e da quando ho assistito alla sua inesorabile (e per certi versi apprezzabile) efficacia.
Sono convinto che l'azione del governo Monti stia evitando, o sia riuscita ad evitare, una situazione economica molto peggiore in Italia, sono contento che questo governo abbia riportato al centro della politica la maestà della legge e il rigore delle istituzioni, sono particolarmente contento della seria lotta all'evasione fiscale che sta intraprendendo questo governo ma sono anche convinto che l'assenza di una componente dialettica forte in politica sia un elemento pericoloso, perché larghi strati sociali non avrebbero espressione, e deleterio per il discorso politico stesso, perché verrebbe a mancare il motore delle idee. Peraltro la politica che perde i sui connotati di destra o di sinistra è una gigantesca mistificazione, oltre ad una catastrofe. Contrariamente al messaggio oggi dominante che una politica "né di destra né di sinistra" è la nostra unica salvezza io sono convinto che non esiste una politica "né di destra né di sinistra" e che il tentativo di realizzarla sarebbe una disgrazia. La politica, nella sua forma tecnica, che ambisce ad una oggettivazione di natura "scientifica" è un gigantesco imbroglio. Se oggettività significa prescindere da un sistema valoriale, se significa indipendenza dal giudizio e dall'assiologia, se significa prescindere da elementi ideologici di discriminazione e scelta, ebbene allora l'oggettività è una chimera, tutti ne parlano, nessuno l'ha vista. Non è possibile prescindere da sistemi valoriali nelle scienze sociali come la politica e l'economia.
L'approccio liberista del prof. Monti non è l'unico approccio esistente e applicabile, neanche in situazioni di emergenza come quella dettata dalla crisi economica. La storia della Grande Depressione degli anni '30 successiva alla crisi del 1929 ha insegnato che fu un'altra scuola economica a portare gli USA fuori da quella crisi, mentre nella vecchia Europa la storia prese una piega tragicamente diversa. Bisogna prestare attenzione alla storia, potrebbe insegnarci molte cose sul futuro. Probabilmente all'epoca le condizioni non erano del tutto simili a quelle attuali ma economisti del calibro di Paul Krugman e eminenti sociologi come Luciano Gallino continuano a richiamarsi a quel pensiero. Non credo si tratti di sprovveduti che non capiscono l'urgenza della situazione e che non vedono come l'unica strada possibile sia quella del rigore e del mercato libero da ogni possibile vincolo politico e sociale.
Stiamo vedendo all'opera una cultura delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni che non sembra avere controparti, almeno in parlamento. Di fronte all'ondata liberista è necessario fare due operazioni, la prima è tracciare una chiara distinzione tra liberalizzazioni e privatizzazioni, cosa mai sottolineata abbastanza, e la seconda è agire chirurgicamente per capire quali siano le implicazioni sociali e politiche delle une e delle altre senza concedere nulla al credo salvifico nel mercato e nella mitica "mano invisibile". Sull'interessante rapporto tra economia e teologia consiglio la lettura di questo articolo di Roberto Esposito che ricorda come prima Max Weber e poi Walter Benjamin abbiano riconosciuto il pericoloso intreccio tra economia e fede religiosa. Se Weber vede nell'etica protestante la genesi dello spirito del capitalismo, Benjamin vede nel capitalismo non un derivato della religione ma una religione esso stesso. E' di questo che stiamo parlando, di una religione che, in barba alla professione di fiducia nell'oggettività tecnica o scientifica, si nutre di fede nella bontà di certi provvedimenti senza considerare i dati che sono a nostra disposizione.
Di una ideologia delle privatizzazioni parla Pierfranco Pellizzetti, un'ideologia che spesso ignora i risultati degli "esperimenti" delle privatizzazioni, parlo dell'esperienza di Parigi in cui l'acqua torna ad essere bene pubblico perché la gestione privata è stata fallimentare, dei casi in cui le tariffe della gestione privata dell'acqua o di altri beni e servizi sono più costose senza significativi miglioramenti del servizio, della catastrofica esperienza di privatizzazione delle ferrovie britanniche. Insomma parafrasando una celebre locuzione latina, sia fatto libero mercato e perisca il mondo!
Delle pericolose implicazioni delle liberalizzazioni del governo Monti scrive in un bell'articolo Stefano Rodotà. Se sul fronte dell'acqua si prende atto con piacere del dietrofront del governo, resta tuttavia la preoccupazione per quel patto tra economia e società di cui a suo tempo scrissi in questo post, un patto tra mercato e democrazia delineato dall'articolo 41 della Costituzione che l'azione di governo sta mettendo in discussione nei fatti. La riforma di quell'articolo, che a suo tempo chiese espressamente Tremonti, sta passando in maniera implicita con Monti. Insomma se è difficile cambiare la Costituzione formale allora sia cambiata quella materiale.
Sul fronte delle riforme costituzionali si da poca o nessuna attenzione al fatto che questo governo e questo parlamento stanno introducendo il pareggio di bilancio in Costituzione, già approvato in un primo passaggio alla Camera quasi all'unanimità (646 favorevoli, 11 astenuti, nessun contrario), quindi anche con i voti della lungimirante sinistra. In altre note avevo già espresso preoccupazione riguardo gli effetti di quella riforma e avere conferma di quelle preoccupazioni non mi rende certo più tranquillo. Come scrive Marco Revelli, il pareggio di bilancio «è una bestialità inaccettabile, per quanto ci venga chiesta dall'Europa, dalla Bce. Significa mettere al bando il keynesismo, ovvero ciò che è stato una delle più accreditate teorie di politica economica e che può continuare ad essere una possibile opzione se si vuole mettere in moto una ripresa. Significa scolpire in eterno nel nostro patto costituzionale un dogma cui tutti i governi dovranno rimettersi al di là di qualsiasi specificità contingente che potrebbe rendere opportuno un diverso approccio. Credo che se mai dovesse entrare in Costituzione il pareggio di bilancio dovremmo batterci e fare di tutto perché ne esca il più presto possibile.» In MicroMega 8/2011, pag. 135.
Quello che è stato considerato inaccettabile con Marchionne è passato sotto silenzio con Monti, parlo della sospensione del contratto nazionale per le ferrovie. La proposta di privatizzare i servizi idrici dopo il voto referendario rivela un atteggiamento che considero estremamente pericoloso, proposta poi rientrata ma che non sarebbe stata neanche formulata se nel DNA di questo governo non ci fosse quell'ideologia liberista che considera il mercato quale migliore strumento per decidere i prezzi delle merci, di cui farebbero parte anche i beni comuni! Lo stesso dicasi per la proposta di abolizione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. L'assetto industriale italiano è tale che non si riconoscono effetti significativi di freno alle assunzioni dall'articolo 18, come sottolineò Carlo Clericetti qualche tempo fa, eppure personaggi dalla carriera fulminante come Michel Martone non perdono occasione di illustrare l'impennata che avrebbero le assunzioni con l'abolizione di quell'articolo dallo Statuto dei Lavoratori.
Riguardo gli ultimi provvedimenti segnalo soltanto come il nostro paese abbia un disperato bisogno di spostare il trasporto merci dalla gomma alla ferrovia, per ragioni ambientali e per ragioni strategiche, e invece troviamo una maggiore libertà di spostamento dei TIR sulle autostrade e una riduzione dei controlli ambientali. Da tutto questo emerge ancora una volta quale sia la distanza tra i dati disponibili, qualcuno oserebbe dire oggettivi, e l'agire politico che per quanto possa definirsi tecnico o scientifico è sempre frutto di una scelta inscritta all'interno di un sistema di valori, o forse dovremmo parlare di un sistema di fede.
Per quanto riguarda il fronte della pratica democratica occorre dire che le situazioni di emergenza comportano spesso un decisionismo che non apprezzeremmo in altre circostanze, in politica si tratta in definitiva di una sospensione, a vari livelli e gradi, della pratica democratica o di una loro costrizione in tempi così ristretti che di fatto si tratterebbe di un rispetto puramente formale di quella pratica. Se l'emergenza è riconosciuta e il decisionismo viene da persona autorevole allora è meno soggetto ad una critica. Questo è quanto sta accadendo con il governo Monti. Vista la durata di questa emergenza economica che, almeno al momento, non mostra segni di arretramento, e vista l'autorevolezza di Monti (se possibile ancora più accresciuta considerando il precedente inquilino di Palazzo Chigi) la sinistra saprà riconoscere il momento in cui quella sospensione della pratica democratica non è più tollerabile?
La sinistra dovrebbe saper cogliere gli elementi critici della storia, gran parte della sua tradizione si fonda su questo assunto. Questa lunga crisi economica doveva essere una buona occasione per riformulare un discorso sul progresso e sullo sviluppo. La sinistra avrebbe dovuto cogliere l'occasione per spostare il baricentro della propria riflessione su uno sviluppo ad alta intensità di lavoro anziché ad alta intensità di capitali. Ho sperato in una sinistra che cogliesse l'occasione per mettere in discussione la status sociale dei beni materiali per innalzare quello dei beni relazionali. Ho sperato che si avviasse un serio discorso su una crescita economica che fosse rispettosa della qualità della vita e dell'ambiente, che si avviasse un serio confronto con i limiti di sostenibilità del nostro pianeta. Continuo a sperare in una sinistra che sappia dare valore e voce alle esperienze locali di democrazia partecipata, di consumo responsabile e di filiere corte, e via e via e via.... Invece vedo un pensiero unico, vedo l'oggettivazione della tecnica e la scomparsa della sinistra.
Mi chiedo se c'è ancora una sinistra, immune da culti della personalità e che non soffra di labirintite verbale, in grado di trovare la forza di far pesare le proprie posizioni? Siamo ancora capaci di mettere in discussione la crescita economica per uno sviluppo a misura d'uomo? Preferirei dire a misura di bambino o di vecchio ma mi accontenterei di un mondo a misura d'uomo e non di macchine e moneta.
Da qui dobbiamo partire, o ripartire, se è ancora possibile immaginare carta geografica del mondo che comprenda Utopia.
Mi rendo conto che ho parlato di destra e di sinistra senza mai definirle, l'ho fatto a suo tempo in questo post, in maniera disordinata e il mio scoramento non mi consente di mettere ordine in quegli appunti, tra l'altro è già tardi.
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