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Un grande catamarano un po’ fetido solcava veloce lo stretto. Le acque sotto di noi erano blu scuro, quasi nere, certamente profondissime. Era la prima volta che passavo la linea di Wallace, che mi spingevo così ad est. Lontano, la sagoma scura della costa di Lombok occupava tutto l’orizzonte ed era come una promessa velata di nuove emozioni. Di certo quel viaggio indonesiano, ne aveva già regalato molte, ma poche terre come quella, sanno mostrare diversità imprevedibili e sconosciute al viaggiatore europeo. Ci eravamo lasciati alle spalle la cultura induista di Bali per passare all’Islam di questa isola così differente. Il cambiamento di clima è subito evidente e dimenticammo in fretta il lussureggiare delle coste piovose e coperte di risaie a terrazze, per passare ad un territorio più secco, più ruvido e coperto di una foresta rada e di alberi all’apparenza stentata. Lombok ha una dimensione decisamente più casalinga se la si raffronta alle folle balinesi di vacanzieri in cerca di spiagge assolate, ma non per questo è meno attrattiva, anzi, direi che, sia i piccoli paesi che i villaggi di pescatori della costa che circonda l’isola, sono molto piacevoli e vivibili e meno oppressi dalla sindrome dell’assalto al turista. Ce ne stavamo quindi facendo un piacevole giro nell’interno, percorrendo una zona naturalistica dove vedemmo qualche elefante intento a lavori nella boscaglia, quando ci fermammo lungo un corso d’acqua nascosto, cercando un po’ d’ombra, per sgranocchiarci la frutta comprata al mercato di Mataram, il piccolo capoluogo. Mentre eravamo intenti alla bisogna fummo circondati da un gregge di capre belanti che brucavano tutto quanto capitava loro a tiro inclusi i nostri zaini, che mettemmo subito in salvo, tra le risate del pastore. Ci guardava con interesse, stando in una posizione tipica, in piedi appoggiato ad un lungo bastone con la gamba sinistra sollevata ed il piede appoggiato al ginocchio destro. Aveva uno straccio bianco tuttofare avvolto attorno alla testa ed un altro attorno ai fianchi, una sacca sulla spalla ed il nostro oggetto misterioso a tracolla. Dopo un tentativo di approccio reso difficoltoso dalla mancanza di linguaggi comuni oltre a quello dei segni, simpatizzammo comunque e io tentai subito di capire quale era la funzione del marchingegno, che però fu subito evidente, non appena se lo tolse e me lo mise aperto tra le mani. Si trattava di un manufatto di legno chiaro lungo circa 15 cm con un inserto di legno nero. La chiusura scorrevole sulle cordicelle era una specie di riproduzione, con fini ornamentali, dei tetti delle case di diverse etnie indonesiane. Il tutto coperto da gradevoli intagli a formare un disegno geometrico, primitivo ma sufficientemente complesso. Mi conoscete a sufficienza per pronosticare che, dopo una breve trattativa l’oggetto traslò nel mio zaino per far parte della collezione della mia wunderkammer. Fate un piccolo sforzo intuitivo perché stavolta è proprio facile. Non vi risponderò subito in quanto come sapete non sono più tra di voi. Al mio ritorno (se ci sarà un ritorno) provvederò a soddisfare la vostra curiosità.
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