La massa è fatta di sole sfumature. Senza contorni netti è moribonda mole puntiforme in movimento. Con questa ottica non si scorge altro che un continuo sfavillare lontano di gesti che indicano la vita, il suo continuo apparire deformato e di sfuggita. Questa è l’ottica della lontananza necessaria alla grandezza della massa, che spinge fuori e in alto a conferma dei suoi contorni finali, informi, sfilacciati. La vita che appare tra queste righe grigie è pura sostanza contratta. Una sostanza dalla pelle troppo spessa per secoli di formalizzazioni divenute aria e formalismi, la cui essenza pura però si svolge, ancora e fortuitamente, in una definizione di sé con la potenza di un simbolo sepolto e illuminato dai suoi scatti ad esistere.
Walter Benjamin.
In questo passo, il grande filosofo tedesco, rielaborando chirurgicamente un’intuizione di Baudelaire, prende in considerazione la massa non come un’entità omogenea che compie azioni comuni in maniera automatica, condizionate da ansie collettive o da modi imposti dal potere, ma come un insieme di individui che tendono a confondersi nella folla, sfumando le proprie caratteristiche per meglio omologarsi al pensiero dominante. Oltre a ribadire la necessità di una psicologia della massa, accanto alla prospettiva sociologica, il ragionamento di Benjamin assume un aspetto premonitore nei riguardi di ciò che è diventata la massa ai nostri giorni, sempre che si possa ancora parlare di massa. Oggi, l’omologazione non si manifesta tanto nell’adeguarsi ai modelli imposti, a una vita consacrata ai simboli della società del benessere, quanto nel tentativo ossessivo di distinguersi dalla massa, di trasgredire cliché comportamentali ormai desueti. Trasgressione che non va mai ad intaccare l’ordine costituito della massa: si fanno cose bizzarre, strane, pazze, ma stando sempre ben attenti a non scivolare nel borderline. Questo tentativo, non poggiando su basi solide morali e spirituali, non può far altro che rimanere a livello di sfumatura, compiendosi esclusivamente nella superficialità della rappresentazione.
Un po’ quello che affermava Ennio Flaiano, recensendo una riduzione teatrale del Bouvard e Pecuchet di Flaubert:
“Oggi Flaubert riscriverebbe il suo romanzo o lo vieterebbe ai riduttori teatrali. Per la ragione che essi non credono nel progredire e nel variare incessante della stupidità. Che oggi non è tanto più borghese, razionalista e volterriana, come ai tempi del farmacista Homais, quanto tesa verso il futuro, piena di idee. OGGI IL CRETINO E’ PIENO DI IDEE”.