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L’omosessualità si può curare. Ah no, mi sono sbagliato

Da Leragazze

L’omosessualità si può curare. Ah no, mi sono sbagliatoIn questo blog ci piace esplorare le meraviglie della Scienza Pacioccona, oggi invece è la volta della Scienza Criminale, che non è quella che studia i comportamenti delittuosi, ma quella colpevole di seminare pregiudizi, stereotipi e sofferenza.

Ricorderete certamente un articolo che uscì nel 2003 sulla rivista Archives of Sexual Behavior dal titolo prolisso ma molto esplicito: Can some gay men and lesbians change their sexual orientation? 200 participants reporting a change from homosexual to heterosexual orientation che destò grande scalpore e dette vita a un dibattito feroce. Soprattutto offrì dignità scientifica alla cosiddetta terapia riparativa, e già il nome è tutto un programma, che promette di modificare un orientamento preminentemente omosessuale in uno eterosessuale. Insomma, “curerebbe” l’omosessualità come fosse una malattia.

Nel suo studio Spitzer, l’autore , all’epoca al New York State Psychiatric Institute, intervistò telefonicamente 200 persone che riferivano cambiamenti nella loro sessualità, dall’omo all’etero, nei precedenti 5 anni, in seguito alla terapia riparativa. Il fuoco era sull’attrazione, le fantasie, i desideri e il comportamento sessuali: fu fatto un raffronto tra quello che era un anno prima della terapia e un anno prima dell’intervista. Risultò, a detta di Spitzer, che “la maggioranza dei partecipanti riportò cambiamenti da un orientamento predominante o esclusivo omosessuale a uno predominante o esclusivo eterosessuale”. Le sue conclusioni: “Si sono evidenziate modifiche nell’orientamento sessuale di gay e lesbiche a seguito di un certo tipo di terapia riparativa”.

Questo ha contribuito negli anni a disseminare informazioni scorrette sull’omosessualità, a creare illusioni e false speranze nelle famiglie che si aspettavano con una terapia di “risolvere il problema” dei figli e a creare tanta sofferenza. E ovviamente a dar vita a un business milionario.

Ora Spitzer, dopo 9 anni passati evidentemente ad almanaccare e a elucubrare, se ne esce bel bello con una lettera alla stessa rivista di allora in cui dichiara che nel suo studio c’erano degli aspetti fatalmente deboli legati soprattutto alla impossibilità di appurare se le affermazioni dei suoi intervistati fossero sincere. E conclude, bontà sua: “Credo di dovere delle scuse alla comunità gay per il mio studio che ha fatto delle affermazioni non provate circa l’efficacia della terapia riparativa”.

Ci sarà una terapia riparativa per Scienziati Criminali, in malafede o non?



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