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L'ONESTA' DEL MOLOCH (ovvero) Della beata nientitudine -14-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
L'ONESTA' DEL MOLOCH (ovvero) Della beata nientitudine -14-sione. suddivisione dei compiti. Compiti a casa.
Ho sempre cercato, durante la mia lunga esistenza... O breve. Non che io sia certo di quanto sia veramente durata la mia esistenza, nemmeno se stia continuando, cosicché diremo Durante tutta la mia esistenza e basta, o esistenza precessa, ho sempre cercato, dicevo, di avvertire gli altri della mia doppiezza latente e subdola. Cercavo di allertarli, di metterli a parte di ciò che io pensavo di sapere di me: non sia mai che mi prendiate per agnello se poi una mattina vi doveste svegliare accanto ad un lupo. Continuereste a trattarmi come il mite ovino, dicevo loro, non vedreste oltre ciò che vi è sempre sembrato essere me, non capireste, tentereste di pascolarmi felici e contenti finendo per ritrovare voi e il vostro gregge sbudellato, dopo quell'attimo di indifesa (oh,che) sorpresa (!), la sorpresa di sapere di star per essere sbrindellati da un pacifico ruminante. Neanche dopo che sarete stati sbranati da un agnello, forse ammetterete che quello che pascolavate era un lupo, una iena, uno sciacallo. Possibile che non ve siate accorti? Questo dicevo loro, li volevo proteggere dalla mia latente doppiezza, dalla paura d'essere scambiato per quell'io che in quell'Attimo non ero, preso per il solito, giusto per la forma del mio involucro. Non assalii né mai sbranai, questo va detto e nulla mai avvenne del genere proprio perché, io credo, spogliando lentamente l'io che non ero ma che potevo essere finivo per diluirlo nell'altro io che imperava sull'involucro. Sì, proprio l'io imperante credo abbia progettato questo piano, esattamente con lo scopo di rendere l'altro innocuo semplicemente lasciandolo intravedere, senza così mai dargli la possibilità di avere il cinquanta per cento più uno dei soci che governavano le mie azioni. Tutto questo lo voglio dire perché sia chiaro anche a voi come tutto fosse poco chiaro a me anche allora, allora, voglio dire, quando ero immerso in un altro stato di cose, rispetto a questo. Una fase in cui io andavo verso le cose mentre Ora le cose vengono a me. Tutto ciò che mi rimane in comune con quel periodo è la mia abitudine - saltuaria, per altro - di discendere armato, giù, dentro di me, alla ricerca, negli abissi, dei mostri che comparsavano i miei sogni allo scopo di guastarmeli, non so se continuino a farlo tuttora, i sogni di oggi non li ricordo più, o forse sì, nemmeno questo ricordo, ma io comunque laggiù scendo a scanso di equivoci. Giù giù lungo la strada ritrovo sempre le stesse cose, Ora come allOra: i corpi in putrefazione dei miei genitori, dei miei amici, dei miei animali, dell'uomo-pastore, delle divinità sepolte dai miei antenati, del cielo ingoiato dal mondo ma ancora non digerito, dei raggi del sole. Mi tengo ancora un istante aggrappato con poche dita alla protuberanza ancora non distaccata dei cadaveri del giorno e della notte, poi mi lascio cadere e finalmente atterro (sì, lo so, non si dovrebbe dire atterro), ma atterro nel profondo del mio io, armato fino ai denti, dicevamo, fendo colpi a destra e a manca, nel buio, alla cieca, colpisco qualcosa, corpi duri e molli, li sento cadere, gridare, morire. Ma ciò che discende per uccidere non può poi più risalire: rimane, fino ad essere disarmato della spada ormai spuntata, fra i sopravvissuti di quel raid che ne fanno uno di loro, incattivito. Va ad ampliarne le schiere. Ecco, le comparse che rendono incubi i miei sogni sono i miei soldati, valorosi ma pur sempre sconfitti in battaglia, che si vogliono vendicare del loro generale che non li ha saputi riportare a casa.

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