facciali frontali.frontali mortali.Mortali spiriti
All'improvviso la mente di mio padre si trovò imbarcata su di un vascello al largo - alla deriva - troppi uragani l'avevano reso ingovernabile, dopo ogni tempesta rabbia rassegnazione accettazione si era subdolamente auto-attirata ogni fulmine o avaria, benedetti. Impossibile ogni riparazione. Fu lui il primo. Fu mio padre, ed il padre di Imix. Si dondolava muto e sordo senza pausa alcuna, in ogni istante del giorno e della notte. Se sognava, sognava di dondolare. Teneva gli occhi socchiusi, come esposto ad una grande luce che non riusciva a sopportare. E si lamentava, gemendo.Mia madre lo seguì poco dopo. S'imbarcò anche lei sullo stesso vascello e varcò lo stesso mare. Lei invece non era affatto muta, ma non c'era significato nelle sue frasi. Giurava che quella non era la carta che avrebbe voluto giocare, che al limite, forse, il gioco le era stato spiegato male e il re, il re in persona, se fosse stato informato dei fatti l'avrebbe potuta scagionare davanti a tutti. A tutti quelli che la torturavano, che continuamente la punivano per questo suo imperdonabile errore. Così parlava. E come parlava, ascoltava. E così vedeva e si muoveva. In fuga dagli aguzzini, al galoppo verso la lontana corte del re. Dov'è la reggia? E'ancora così lontana? Quanto ancora? Sono quasi arrivata? E poi lacrime e grida e strepiti e rotolarsi sotto ai tavoli, perché non la immobilizzassimo, perché non si facesse male. E: Vedrete, vedrete il re appena verrà a saperlo, cosa vi farà. E: Dovreste provare voi cosa si sente a soffrire così tanto per un piccolo errore fatto in buona fede. E poi: dio, gli angeli, i demoni, tutte le preghiere i riti che rigurgitava dal passato antico dell'animo suo. E guardarsi le mani. E maledirle per avere giocato quella carta. Quella sbagliata. Luminosissimo re, Sua Maestà, scenda, la prego, dal suo trono, per un solo secondo, per una sola parola a mia madre, a mio padre. Abbia pietà del cuore dei suoi sudditi, Maestà.E poi via, i genitori di tutti noi laggiù, sullo stesso mare. E noi dietro, a rincorrere, a tentare d'interpretare, piangere, disperarci, imprecare. Resistere. Ma resistere a cosa? Eravamo rimasti soli. Davanti a noi avevamo soltanto dei contenitori. Serrature rotte, chiavi smarrite. Là dentro c'erano i cervelli dei nostri genitori, che tanto amavamo. In quel cervello - come scatole cinesi - a sua volta c'erano tutti i ricordi che si obliavano, per sempre, evaporando, volando inafferrabili verso il cielo. E i nostri genitori, poppanti di Lete, attaccati a delle mammelle vetuste, ancora in vita, ancora pulsanti, caldi, appassionati. Circondati da noi, sempre, che li amavamo. Ma che non potevamo chiedere: Mamma, è vero che da piccolo volevo...? E' vero che da bambino mangiavo... ? Con l'andarsene del loro passato, si chiudevano anche i libri del nostro. Questa fu la nostra prima mutilazione. Avevamo braccia testa gambe e cervello. Ed un moncherino sanguinante, altrove, dentro, non apparente, fantasma di un ché, già di per sé invisibile. Io, Imix, Ik ed Akbar ci giurammo: Noi non dobbiamo mai diventare così. Costi quel che costi.