L'onibu di André CaneTraduzione a cura di Nadia Veziano
Era estate, ma molto prima che apparissero, attraverso la piccola finestra della mia camera, le prime luci dell'alba dietro Apricale, la vita si manifestava già rumorosa intorno a noi.Mio zio seduto sul pavimento in cemento della cucina aveva iniziato da parecchio il suo abituale monologo col nostro gatto. Di sotto, sul ponte, persone ed animali si affrettavano verso i campi. Badin faceva volare dalle sue campane, gli ultimi rintocchi che annunciavano la messa. Poi, improvvisamente, ci giungevano dai " carugi " in alto, ancora immersi nell'oscurità totale, i suoni persistente di una trombetta.Le prime e quotidiane note di quel modesto strumento avevano il potere di fermare di botto il divertimento di mio zio e di fare esplodere immediatamente la sua rabbia in un tuono di imprecazioni. Non sapevo, e ancora oggi mi sfugge, perché quel suono provocasse una tale arrabbiatura.Costituiva, quel suono, il primo avvertimento che " Gin de l'onibu " proprietario della diligenza, rivolgeva ai suoi abituali clienti.Il suo giro terminava dalla fontana e proprio sotto la nostra finestra, con una strombettata, nella quale, come in un'apoteosi, metteva tutto il suo fiato e il meglio del suo talento.Le bestemmie di mio zio raggiungevano allora il loro massimo. Il mio sonno di bambino, per quanto profondo, non resisteva ad un tale fracasso, e non mi rimaneva che saltare giù dal letto.Gin si metteva poi lo strumento a tracolla e raggiungeva velocemente il Buteghin per mettere, a forza di braccia, la sua diligenza in posizione di partenza. Fatto ciò, portava il suo cavallo alla fontana. Vedevo l'animale abbeverarsi lungamente di acqua fresca nella vasca esagonale, mentre il suo padrone, scambiava brevi commenti con le prime paesane venute a riempire le loro " seglie " ( bacinelle).Di seguito, era il momento di agganciare il cavallo al carro, operazione difficoltosa al massimo, perché tanto gli arnesi, quanto il veicolo, erano estremamente vetusti e richiedevano una manipolazione laboriosa. Questi lunghi preparativi erano appena sufficienti per permettere ai clienti di indossare il vestito delle grandi occasioni, perché, per la maggior parte di loro, lo spostamento a Ventimiglia, era uno dei grandi avvenimenti dell'anno.Quando il suo cavallo era pronto, Badin, intraprendeva il secondo giro di chiamata, più breve del precedente che terminava sulla Bunda, l'arteria principale.La diligenza, così come il cavallo, non davano certo l'idea dell'opulenza, e su questo piano, solo solo il povero Meneghin, titolare del servizio da Rocchetta a Ventimiglia, e il suo cavallo pietosamente allampanato, potevano lamentarsi di una sorte ancora più precaria.Il filo di ferro la faceva da padrone. Era il mezzo di fortuna che consolidava le stanghe rotte, univa i raggi delle ruote, dal movimento inquietante, fissava, in una miriade di contorsioni, vecchie ciabatte chiodate sui pattini dei freni per renderli più efficaci e soprattutto più duratura.Mio zio Tomau, il calzolaio (scarpà) era spesso sollecitato a fornire gratuitamente quel materiale di scarto.Perfino il tetto, agitato da un preoccupante ondeggiamento, veniva gratificato con quel modesto espediente, riservato anche alle tende sbiadite e bucate, apparentemente destinate a ripararci dal sole e dalle correnti d'aria. Il traballante e scricchiolante veicolo arredato delle sue due panche interne opposte e per metà occupate, la maggior parte delle volte aveva grosse difficoltà a mettersi in marcia. Devo precisare che un posto " privilegiato " era predisposto davanti: era una corta panca, in basso rispetto al sedile del vetturino, più precisamente tra i piedi di quest'ultimo e la coda del cavallo. Accoglieva un passeggero con lo sconto, e se ne capisce la ragione.Fui uno di quelli, varie volte a fine estete, quando raggiungevo Beaulieu. Continua...
Prima corriera a motore Pigna - Ventimiglia
Rividi Badin una mattina di primavera del 1924. Siccome mi stupii di vederlo sul ponte, mi rispose pieno di amarezza e rancore:" I Pignaschi mi hanno ucciso! "Eh già! Erano due anni che partendo da Pigna; la "corriera", nuovo mostro meccanico, più rapido, gli aveva rubato i suoi clienti. Era, mi avevano detto un vecchio veicolo dell'esercito, rombante e fumante su una carrozzeria stanca. Offriva ai suoi occopanti scomode panche, poco imbottite, alle quali dalle ruote sui giunti pieni trasmettevano ad un ritmo accelerato, gli infiniti sobbalzi della strada. Quelle sollecitazioni erano aggravata da una nuvola di polvere, più densa e avviluppante di quella dell'Onibu. Vedevo i viaggiatori scendere velocemente da quella grande e scomoda scatola metallica e procedere energicamente ad una fastidiosa spolveratura dei loro abiti. Devo annotare, per essere preciso, che le tariffe di quel nuovo mezzo di locomozione erano sensibilmente più care di quelle della secolare diligenza - ma era necessario sacrificarsi per il progresso-