A Oude
Interagire con un’opera è un evento impossibile: l’opera compiuta può modificare il mio punto di vista, le mie cognizioni o le mie nozioni, ma io non posso modificare assolutamente il contenuto dell’opera. L’opera può entusiasmarmi, emozionarmi, far riflettere, pensare o lasciarmi del tutto o quasi indifferente. Ma né il mio entusiasmo o la mia emozione, né la mia riflessione o la mia indifferenza sono in grado di imporre, condizionare o suggestionare il contenuto di un’opera. Modificarne il contenuto significa scrivere un’altra opera. Tra me e l’opera non c’è reciprocità. Tuttavia se non posso interagire con l’opera, mi è possibile interagire con i lettori dell’opera: se io, come interprete dell’opera, riesco a modificare il punto di vista di un lettore, io come lettore modifico il mio punto di vista dell’opera sulla base dell’interpretazione. Di fronte all’opera posso sdoppiarmi e assumere la duplice veste di lettore/interprete. Se non posso interagire con l’opera, posso farlo con l’interpretazione, perché quando interpreto un’opera in realtà sto cercando di modificare gli altrui punti di vista. Poiché ogni interpretazione esprime un punto di vista allora interpretare vuol dire modificare il punto di vista altrui. Ma cos’è un’interpretazione? È l’attribuzione di un punto di vista all’opera, secondo il punto di vista dell’interprete, perciò ogni interpretazione vuole essere la traduzione più valida e più corretta dell’opera.
Ora tra il punto di vista che l’interprete attribuisce all’opera e il punto di vista dell’interprete ci può essere un rapporto di assimilazione, di identificazione o di immedesimazione.
Nel primo caso, l’interprete cerca di imporre il proprio punto di vista al punto di vista (attribuito) all’opera, così da imporre il proprio punto di vista al lettore. Sull’opera, l’interprete ha già una sua teoria precostituita, e per confermarla seleziona e cita tutti i brani che vanno in quell’unica direzione. Diciamo che il tal caso l’opera parla per bocca dell’interprete o che l’interprete si fa custode dell’opera. Guai a mettere in discussione la sua ricostruzione dell’opera: sarete immediatamente annichiliti come esseri non competenti e non degni di parlare dell’opera. L’opera è una religione, e l’interprete ne è il sacerdote che officia la sua messa in libri densi, pesanti, pieni di dotte citazioni. Guai a mettervi contro. Rimarrete schiacciati da una mole immensa di citazioni su citazioni. Egli metterà a nudo la vostra ignoranza; vi denuncerà al Tribunale dell’Inquisizione per oltraggio alla fede. Dialogare con interpreti di questa risma non è difficile, è praticamente impossibile. Dal momento che ogni interpretazione si pone come l’autentico punto di vista dell’opera, di conseguenza chi vuole imporre il suo punto di vista in realtà vuole prevaricare sulle altre interpretazioni, cioè disconoscerle, denigrarle, allo scopo di accrescere la sua indiscutibile autorità.
Nel secondo caso, l’interprete s’identifica con il punto di vista dell’opera e tenta di influenzare il punto di vista del lettore; comincia a ragionare come ragiona l’autore. Allora cerca di prevederlo in alcune sue stesse conclusioni. Nelle premesse di un’opera vi scorge sempre uno sviluppo futuro. Riesce a raccordare il presente al futuro, a vedervi delle connessioni. A differenza del primo, che pone l’opera su un piano atemporale, questo secondo interprete è uno “storicista” per costituzione. Sa trovare tutti i fili che legano l’opera al contesto storico in cui è apparsa. Non procede per tesi precostituite. Lui mette da parte il suo soggettivo punto di vista. Sa mantenere la distanza tra sé e l’opera. Però, attenzione, guai ad entrare in competizione con la sua interpretazione. Egli, dapprima vi ascolterà con interesse, inizierà a tessere le lodi della vostra interpretazione, delle vostre capacità critiche; sarà pronto a riconoscere il vostro acume, il modo brillante con cui avete difesa la vostra interpretazione; ma a un certo punto cala la sua mannaia critica: vi farà vedere tutti i punti deboli della vostra interpretazione, metterà in risalto le sue debolezze, le sue deficienze; ma con garbo, con stile, senza mai usare un solo aggettivo offensivo nei vostri confronti. Egli vuole soltanto indurvi a dire che in effetti ha ragione, che le sue sono critiche costruttive, servono a spronarvi a far meglio, ad approfondire di più l’opera, a non trascurare aspetti rilevanti. Lo scopo della interpretazione è accrescere il proprio prestigio.
Nel terzo caso, invece, l’interprete si immedesima con l’opera e cerca di suggestionare il lettore. Ciò che egli vuole far emergere è un punto di vista nuovo, che accresce il proprio e il fascino dell’altrui opera. L’opera diventa così un modello, non un semplice esempio da imitare, ma qualcosa da riproporre in maniera inedita, creativa. Diciamo che l’opera diventa uno stimolo per la propria creazione. Perciò, alla fine, più che un interprete avremo un altro autore che ha preso ispirazione dall’opera per creare un’altra opera. E in quando tale entrerà cosi nel circuito dell’interpretazione.