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Ci sono pagine nascoste in un libro che equivalgono a interi romanzi. Storie di vita che non si capisce perché ti arrivano solo così – per caso, mentre ti stai occupando di altro. La storia di George Smith – un nome che sembra falso da quanto è banale – è una di queste. Una storia eccezionale in cui mi sono imbattuto leggendo Ararat dell’olandese Frank Westerman (e/o edizioni).
E dunque se il nome era banale, anonimo era e doveva essere il destino di George Smith, figlio di operai inglesi nella Londra dell’Ottocento. Operaio lui stesso dopo aver abbandonato la scuola a 14 anni. Apprendista incisore di banconote, per la precisione.
Doveva vivere e morire così, solo che George Smith coltivava il suo tempo libero in una sala del British Museum, quello che custodiva le tavolette di argilla di Ninive. Come un appassionato di enigmistica scrutava quei testi scritti in un antico alfabeto cuneiforme che nessuno era riuscito ancora a decifrare. La Mesopotamia culla della civiltà e tanti misteri da svelare.
Ci riuscì lui, George Smith, grazie ai suoi studi sui codici che venivano impiegati per i biglietti di banca. E già questo sarebbe bastato: l’operaio era arrivato dove non erano arrivati i più grandi studiosi.
Ma a me piace soprattutto quello che viene dopo. Perché un giorno, lavorando su quelle tavolette, da quei segni emersero parole che componevano un verso. E poi un altro verso e un altro verso ancora. Parole che parlavano di un antico diluvio che aveva spazzato via il mondo e di una nave piena di animali che si era incagliata sulla cima di un mondo.
Era la storia del diluvio universale, secoli e secoli prima che questa storia trovasse posto nelle pagine della Genesi. Era il poema di Gilgamesh, il più antico capolavoro conosciuto, la storia del re di Uruk che cerca il segreto dell’eterna giovinezza.
Giusto che proprio questo fosse il tema delle prime parole letterarie strappate al buio dei tempi.
Racconta Westerman che scoprendo i primi versi George Smith si sia messo a gridare:Sono il primo a leggere queste righe dopo oltre duemila anni di oblio
Pare anche che tra lo stupore di tutti i compassati studiosi del British Museum abbia cominciato a spogliarsi, pazzo di gioia.
Voi ve la riuscite a immaginare, quella voce?
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