L’opzione militare francese in Mali.

Creato il 20 agosto 2012 da Basil7

di Beniamino Franceschini

La situazione in Mali è emblematica del rischio di collasso che tutta l’Africa nord-occidentale sta attraversando. Tuttavia, un’azione militare, direttamente auspicata anche dallo stesso presidente Hollande, è subordinata a molti ordini di fattori: dall’individuazione dell’attore principale, ai limiti economico-finanziari, passando per l’eventualità di un conflitto contestuale in Siria e la necessità di un intervento sistemico, anziché ridotto al solo Mali.

Fonte: Banque de Données Minières ACP.

A fine luglio, durante una riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi francofoni, il francese Laurent Fabius, titolare del Quai d’Orsay, è tornato a proporre l’ipotesi di una soluzione militare in Mali per riportare l’ordine nell’Azawad e fermare l’incessante espansione del Mouvement pour l’Unicité et le Jihad en Afrique de l’Ouest(MUJAO). La replica degli Stati ECOWAS è stata piuttosto distaccata, salvo quella del Niger, attraversato continuamente dai traffici e dalle azioni dei gruppi islamisti e il cui collasso potrebbe essere il prossimo tassello della destabilizzazione regionale. L’Africa nord-occidentale, infatti, sta attraversando da anni una progressiva penetrazione di formazioni dell’estremismo islamico (celebre è Al-Qaida nel Maghreb Islamico, AQMI), con il deciso sostegno di gruppi di potere locali e bande armate riguardo alle quali la distinzione tra il brigantaggio e il terrorismo è molto sottile. I frequenti rapimenti avvenuti nell’area (compreso quello di Rossella Urru) dimostrano che la regione non è assolutamente sicura, ma che, oltretutto, la rete dei singoli gruppi sia molto fitta e ramificata per ampio tratto geografico, mantenendo in collegamento formazioni dal Marocco alla Nigeria. Si assiste quindi a una sorta di cartolarizzazione del terrorismo, con gli ostaggi ceduti di volta in volta da un gruppo all’altro nell’ottica di moltiplicare eventuali ricavi e rendere più difficile l’individuazione dei movimenti da parte delle forze regolari.

Il Niger corre un grave rischio, e questo è il motivo per il quale il Paese sostiene la posizione francese, esposta dal ministro Fabius, riguardo a un intervento militare in Mali. Infatti, sebbene da un lato il presidente Hollande sia convintamente favorevole all’opzione della forza, dall’altro egli è cosciente che l’effettivo invio di truppe nella regione non è realizzabile principalmente per tre motivazioni. La prima, maggiore da un punto di vista politico, è la situazione economico-finanziaria. I conti pubblici francesi non sono senz’altro in ordine e, con le misure (anche straordinarie) che il governo transalpino dovrà sostenere in autunno, difficilmente Hollande potrebbe proporre un reale dispiegamento di forze in Mali.

Da notare la freccia gialla, indicante la rotta della droga in arrivo dal Sudamerica. Fonte: parismatch.com © D.Ramasseul/Paris Match

Qui, è introdotto il secondo punto: è chiaro che la Francia non potrebbe procedere da sola all’operazione, ma nemmeno porsi a capo di una coalizione composta dai Paesi dell’Africa occidentale, sia per motivi politici (la Françafrique non è solo un ricordo dell’era Sarkozy, bensì un sistema tuttora effettivo), sia, ancora, per questioni finanziarie legate agli oneri della leadership. Un contributo delle Nazioni Unite è altrettanto complesso, perché sarebbe subordinato all’approvazione del Consiglio di Sicurezza, nel quale non solo sussiste l’incertezza sulle posizioni di Russia e Cina (con diritto di veto), ma anche circa il ruolo di altre potenze dei BRICS, che più volte hanno preferito adottare scelte realiste, talvolta contraddittorie rispetto alle linee teoriche del proprio operato internazionale e più vicine al modus operandi dei membri permanenti. Il riferimento, in particolar modo, è a India e Sudafrica (gli altri seggi sono occupati da Azerbaijan, Colombia, Germania, Guatemala, Marocco, Pakistan, Portogallo e Togo). Superata un’eventuale fase diplomatica, si dovrebbe poi costituire l’alleanza sul campo e individuare i Paesi che invierebbero fisicamente le truppe. In un primo momento, l’Unione Africana aveva proposto un’operazione sotto le proprie insegne, ma inserita nel quadro ONU, come in Somalia. Quindi, Addis Abeba individuò nell’ECOWAS l’unico braccio armato possibile per agire in Mali, garantendo alla Comunità economica dell’Africa occidentale il proprio sostegno e un contributo in uomini e mezzi. Le stesse Nazioni Unite avevano considerato l’ECOWAS l’attore delegato a prendere le adeguate misure militari nell’Azawad, arrivando persino a sollecitarne l’azione. Tuttavia, nessuno ha la forza (e il coraggio) di schierare le proprie truppe in un territorio di pieno deserto grande quanto l’intera Francia, impegnandole in un conflitto asimmetrico dalla conduzione imprevedibile, come dimostrato dalle esperienze irachena e afghana.

il presidente francese, François Hollande, riceve il presidente della Costa d’Avorio e dell’ECOWAS, Alassane Ouattara. Fonte: rfi.fr © AFP PHOTO BERTRAND GUAY.

Il terzo motivo, infine, è l’attesa per l’evoluzione dei fatti in Siria, giacché la possibile apertura del fronte anti-Assad potrebbe divenire prioritario per la Francia. Sarebbe impensabile per Parigi partecipare contemporaneamente a due grandi interventi militari, o, comunque – dato che non necessariamente un’azione prevedrebbe l’utilizzo di truppe su ampia scala – a due flussi finanziari consistenti. Hollande, però, sta vagliando con attenzione questi elementi, poiché dalle sue dichiarazioni emerge l’intenzione di non escludere assolutamente a priori l’eventualità di un’operazione militare in Mali, considerato che anche il ministro della Difesa, Jean-Yves Le Drian, ha definito «souhaitable et inéluctable» un intervento africano (ma sostenuto da Francia e UE). Sulla base di quanto emerso il 25 luglio durante la visita a Parigi di Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio e dell’ECOWAS, la Francia potrebbe sostenere l’impegno della Comunità dell’Africa occidentale finanziariamente e con l’assistenza di alcune unità specializzate delle Forze Armate, ponendo la centralità sull’asse, piuttosto contestato da vari settori della politica e dell’opinione pubblica, con Yamoussoukro-Abidjan: «Paris estime toutefois que le retour du Mali dans ses frontières passe par la constitution d’une force militaire africaine et n’exclut pas une intervention armée à laquelle la France pourrait apporter un soutien logistique» (A. Barluet, La crise au Mali mobilise Paris et Abidjan, “Le Figaro”, 27/07/2012).

L’ECOWAS ha ancora in mobilitazione da maggio 3mila uomini pronti a essere dispiegati in tempi brevi, ma l’azione aprirebbe due gravi problematiche, entrambe connesse alla pervasività che l’integralismo islamico, con i propri gruppi organizzati, e il banditismo a esso legato hanno ormai raggiunto nella regione. Non esiste, infatti, Paese dell’area che non sia afflitto dal fenomeno: oltre al Mali, rientrano nella sfera di AQMI, MUJAO e affiliati il Marocco sud-orientale; il Sahara occidentale; l’Algeria, la Tunisia e la Libia meridionali; il Ciad occidentale; il Niger; la Nigeria; il Burkina Faso; la Mauritania e, sporadicamente, il Senegal orientale. Non sarebbe possibile rendere impermeabili le frontiere maliane e limitare il conflitto, sia perché il territorio è completamente desertico, sia perché è provata la capacità dei gruppi combattenti islamisti di procedere a reclutamenti rapidi, potendo contare, inoltre, su veterani “jihadisti” di altre guerre (Afghanistan, Algeria, Iraq, Somalia…) sostenuti da un’efficiente rete logistica. Per di più, il contesto geografico attorno al Mali è talmente penetrato e condizionato dai fenomeni su citati, che una liberazione completa del Paese non sarebbe possibile, poiché la problematica può essere affrontata solo a livello sistemico, e non ristretto.

Tuttavia, l’Africa nord-occidentale rischia di divenire stabilmente una piazza franca per islamisti e briganti, crocevia di scambi criminali e di contrabbando, nonché zona fuori controllo a cavallo tra gli scacchieri mediterraneo e sub-sahariano in un’area priva di vere potenze regionali: in questo senso, l’Afghanistan potrebbe essere un esempio addirittura limitativo.

Beniamino Franceschini



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