La ‘povna oggi propone un saggio che ha comprato e poi letto insieme con curiosità e diffidenza. Curiosità perché il concetto di “erotica dell’insegnamento” è uno dei temi sui quali si basa il lavoro di ricerca cui si sta dedicando ultimamente, sulle variazioni di quello che lei ha denominato “effetto Socrate”; diffidenza perché su Recalcati ha un giudizio, se non ambiguo, ancipite. Alcune intuizioni non le dispiacciono, ma nello stesso tempo sa che bisogna andare a cercarle, a rabdomante, tra le pieghe del suo connaturato narcisismo; inoltre, se non bastasse Matteo Renzi, ha avuto la fortuna di conoscerlo di persona due anni fa, e di ascoltarne un’intervista delirante (su desiderio e altro), dalla quale, per usare un eufemismo, ha ricavato un senso di scetticismo immane.
Pur tuttavia, se uno studioso acclamato scrive un testo che riguarda la propria ricerca in modo tanto evidente, è buona norma farsi una opinione non pregiudiziale, e leggerlo. E così la ‘povna si è accinta al compito con animo il più possibile pacato. Il risultato l’ha premiata, e il giudizio è positivo, nel complesso. A favore del saggio vi è infatti sia la visione di fondo sulla scuola, la scelta di ripartire (appunto) da Socrate e la ricerca di una ostinata terza via tra la scuola dei padri (sbattuta via prima dal Sessantotto, e ora compiutamente dalla cosiddetta rivoluzione tecnologica) e l’ideologia da supermarket che sembra dominare nel presente, con gli studenti come vasi da riempire attraverso files da caricare in un repository, semplicemente un tanto al chilo. Che poi Recalcati chiami questi tre stadi la scuola di Edipo, di Narciso e di Telemaco (!) rispettivamente, è in parte figlio della sua teoria postlacaniana e psicoanalista, ovvio; ma se alcune parti sono un po’ spottone ad altri saggi (o rivelano, una volta di più, ineludibile, il connaturato narcisismo), nello stesso tempo revocare in causa desiderio, transfert e psicoanalisi parlando di relazione pedagogica resta comunque un atout intelligente e molto vero.
Complessivamente, dunque, la ‘povna, questo libro, lo consiglia (al punto che lo regalerà per natale a qualche collega, e pure alla preside Barbie, cui ogni tanto spaccia le letture interessanti in cui si imbatte).
E decide, dopo averne lasciato un paio di citazioni tra le più significative, come assaggio, di parlarne anche al venerdì del libro.
“L’incontro con il tempo della lezione, con la parola viva della lezione, quando avviene, quando accade, quando si dà la sua esperienza autentica, rende davvero possibile l’incontro che fa tyche, l’incontro con il Nuovo, con il non ancora visto, il non ancora saputo, il non ancora conosciuto. Quel che resta della Scuola non è forse la possibilità permanente che vi sia nel dispositivo dominato dall’automaton la possibilità inesauribile di una tyche? L’effetto di una lezione non è forse l’effetto dell’apertura di un mondo? Di un «vento di primavera», come direbbe il Nietzsche di La gaia scienza? L’insegnamento scolastico, abbiamo visto, tende a sigillare i mondi, a chiuderli per sempre, a renderli ingranaggi stereotipati e, sappiamo bene, che quando il sapere si chiude in questo modo può diventare solo godimento dell’Altro che comprime il soggetto nella posizione di un oggetto passivo goduto, appunto, dall’Altro. Tuttavia questo non intacca il fatto che una lezione, se è tale, resta un tempo dove si può dare esperienza dell’incontro con l’altrove, dove può esserci resistenza all’inesorabilità dell’automaton: una lezione resta il miracolo dell’incarnazione viva ed erotica del sapere che contagia e mette in moto. Resta quel tempo dove ci si raduna attorno a un’esperienza di sapere che sa toccare qualcosa della verità: l’esperienza del libro che sa includere e non escludere la vita”.
“Questa «presenza» che, secondo Pennac, ogni maestro deve saper incarnare e tenere viva, è la forma principale che assume il desiderio dell’insegnante. Per rendere presenti gli allievi nell’ascolto, è necessario che il maestro sappia innanzitutto rendere presente a se stessa la propria presenza. Non c’è alcuna tecnica che possa compensare un’eventuale «assenza di presenza». La presenza dell’insegnante assume le forme di uno stile. Perché quello che conta innanzitutto è lo stile singolare del maestro. Capita ogni volta che un insegnante parla. Al di là di ciò che dice, conta da dove dice ciò che dice, da dove trae forza la sua parola. Qual è il punto singolare di enunciazione da cui scaturiscono i suoi enunciati? La forza dell’enunciazione coincide con la sua presenza presente. L’insegnante parla e non è altrove, ma qui con noi. Non vorrebbe essere in un altro luogo. Desidera essere dov’è. E questo gli rende possibile evocare con forza altri luoghi. Solo la presenza dell’insegnante sa convocare alla presenza l’assenza di cui si nutre ogni trasmissione autentica di sapere”.
Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Torino, Einaudi, 2014