E’ quella dilatata, desiderata e centellinata che parte dall’imbrunire del lunedi sera e si allunga fino a notte fonda. E’ l’ora privilegiata nella quale il Villaggio lo puoi guardare nelle sue sfumature, frequentandone i luoghi svuotati dalle persone, ma che custodiscono ancora le luci, gli odori, i rumori di tutto ciò che lì è passato.
E come tutti gli anni in quell’ora riusciamo a far decantare tensione e fatica, liberando invece impressioni e ricordi: è il punto di partenza del Villaggio successivo, che si spera possa essere sempre migliore di quello appena vissuto. Un Villaggio faticoso, quello vissuto quest’anno, più per il “prima” che per il “durante”, con tensioni e intoppi che solo a ridosso dell’apertura si sono (finalmente) dileguati. Un Villaggio ricco, però, arricchito da presenze (almeno per noi) di prestigio, un Villaggio per il quale i NO sono stati molti di più di quei SI che hanno poi portato i 28 birrai dietro le spine di Piana. Segno che il Villaggio è ancora vetrina da ricercare, posto da frequentare, persone da incontrare per la passione che ci mettono nel degustare.
La (mia) maledizione del Villaggio è sempre quella di aver potuto assaggiare sempre meno di ciò che avresti voluto, e quindi difficilmente te ne puoi fare un’idea globale. Come negli ultimi anni, comunque, italiani sugli scudi, successo che solo l’improvvisa e dolorosa (per lui e per noi) defezione di Walter Loverier ha un poco screziato. C’è stato il “botto” della bassa fermentazione (da sempre il punto debole del Villaggio), magnificamente dispensata da Manuele e Simone. Il Nord Europa (Nogne O e To Ol) ha sbancato dietro le spine e al beershop: quasi commovente l‘enorme, indefessa, continuativa e serena presenza di Kjetil dietro le spine di Nogne O, un sacco di invidia (la mia) per i “bambini” di To Ol che hanno spacciato birre davvero fantasiose (qualcuno dice solo modaiole ….). Moor inappuntabile nella sua professionalità; quel poco (purtroppo) che ho bevuto da lui mi ha dato grande soddisfazione, e le sue birre in bottiglie sono durate al beershop “lo spazio di un mattino”. America in chiaro/scuro: grandi birre da Pretty Things, birre solo “normali” da Smuttynose, a pelle, un po’ “sedute”. Ma averli potuti ospitare al Villaggio è il segnale che anche da oltre Oceano ci “tengono d’occhio”, e ripensando (nell’ora nostra) da dove siamo partiti (il salone del TNT), capisci allora quanta strada hai (abbiamo) fatto.
Strada percorsa assieme ai nostri compagni di viaggio privilegiati, i belgi, oltre che birrai, “gente” di famiglia. Croce e delizia, a volte ti esaltano con le loro birre, a volte ti lasciano a bocca aperta per degli inaspettati strafalcioni. E anche quest’anno è stato così, pur con il valore aggiunto dei due “nuovi” e giovani birrifici che si sono affiancati agli ospiti “storici” del Villaggio. Menzione d’onore (la mia) per Roland Mengerink, il birraio di Dochter van der Korenaar, austero, quasi respingente, ma un grande, grandissimo birraio. E un grazie enorme, enorme, per l’enorme regalo che i belgi hanno fatto al TNT, uno di quei regali che non ti aspetti, e che ti fanno strabuzzare gli occhi, perché capisci quanto loro ci tengono al Villaggio, e al signor Gianni. E li ringrazi, e li guardi con occhi rinnovati nell’ ora nostra (e loro), quella del lunedi, quando si sciolgono, escono dal ruolo e li vedi sereni, stanchi e appagati, caciaroni (chi lo direbbe …) e compagnoni, e li saluti col magone.
Andando via ti lasciano in compagnia di un bon citto (come dicono da quelle parti) di vent’anni o poco più che chiede coraggiosamente conto al birraio di Maracalagonis del perché non abbia portato al Villaggio quella birra (la Macca Meda) che lui non si poteva dimenticare, e che lo “minaccia” di non ritornare l’anno prossimo senza quella birra, e in fusto (!!!!), beatamente inconsapevole del “rischio” che sta correndo.
E’ l’ora nostra, è l’inizio del Villaggio dell’anno prossimo, come dicevo, è una di quelle cose per le quali non puoi non dire “se non vai al villaggio non hai un cuore” (cit.).