Nel parlare di un famoso artista del novecento ci si trova in vera difficoltà quando le opere esposte nelle mostre che visitiamo sembrano non corrispondere all’idea che ci siamo fatti di lui. La domanda, per così dire, sorge spontanea: si tratta della selezione di opere esposte, che in buona parte, per motivi di scelte estetiche, o più che altro di limitate opportunità di prestiti avute dall’organizzazione che la gestisce, risulta non esaustiva, oppure ci sono altre ragioni che dipendono dal valore e dalla qualità della produzione totale dell’artista stesso? Se dunque il fruitore, anche colto, si rende conto che la mostra non presenta quelle valenze estetiche, immediatamente decodificabili, che configurano un artista come tale, non può far altro che chiedersi se non ci sia una ragione di fondo. Se per gli artisti del passato la considerazione critica si basa su stratificati giudizi critici, che magari possono aver tralasciato parecchi grandi dell’arte, ma che sicuramente non si sbagliano nel giudicare un artista come tale, come valutare le opinioni dei critici dell’ultimo secolo? Nel caso delle operazioni culturali di critici, letterati e politica di fine ottocento e soprattutto novecento, si potrebbe considerare la necessità di ulteriori indagini sulla persona che viene decretata ufficialmente un artista e sul suo mondo. Possiamo supporre che alla base della considerazione che viene attribuita a un artista ci siano delle operazioni altre, che prescindono dal valore intrinseco delle sue opere per essere la risultanza di precise operazioni di marketing commerciale? Queste domande ci siamo posti visitando questa mostra che invitiamo a visionare e a giudicare di persona. Henri Émile Benoît Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954)
Nel caso di Matisse siamo colpiti immediatamente dalla potenza espressionista e post/impressionista del colore delle opere dei primi del novecento legate al suo maestro John Peter Russel, fino alla capacità di modulazione lineare del segno, che con elegante e raffinata capacità seduttiva, ci consegna le definite immagini del periodo che va dal 1916 al 1935. Il noto pittore fu influenzato dalle opere di Cézanne, Gauguin, Van Gogh e Signac, ma anche dall’arte africana e orientale. I suoi colori sono vibranti: i gialli venivano accostati al violetto, il rosso al verde, il blu all’arancio. I disegni di donne, spesso in pose da odalische, vibrano di contenuta sensualità e rappresentano espressione di un traguardo lirico. La linea fluida e dinamica di queste immagini sembra scaturire da un’onda liquida e sarà poi utilizzata dall’artista anche nelle sue famose figure in arancio su azzurro, logo per il quale è conosciuto da tutti. Ma non tutte le opere hanno uguale valenza; in particolare in alcune natura morte e nella tela Katia in abito giallo del 1951 e in varie altre opere, si ravvisa una sensazione di disagio espressivo, inadeguatezza, di eccessiva semplicità generata da vari fattori che consegnano alla vista un’estetica da discutere. Alla corposa e plastica potenza materica di capolavori come la Giovane con copricapo persiano, l’Italienne, le Modelle in riposo, e la più compiuta, la Spagnola con tamburello del 1909, si alternano immagini piatte, dal colore magro e con una composizione discutibile.
Creare la sintesi espressionista di una figura o di una natura morta è un’operazione complessa che richiede grande rigore e coerenza espressiva rispetto alla normale mimesi naturalistica di un oggetto. È proprio per questo che il giudizio sugli artisti contemporanei che usano la sintesi della natura, o la trasformazione di essa come metodo espressivo, siano essi, impressionisti, espressionisti, cubisti o altro, deve passare per le più complesse griglie d’analisi. Se poi ci si mette sul piano dell’operazione dell’arte concettuale, si sposta ancora il tiro, e il giudizio subisce ulteriori metodi d’analisi. Per comprendere meglio il personaggio in oggetto, è utile citare una famosa frase dello stesso Matisse: “Ho lavorato per arricchire la mia intelligenza, per soddisfare le differenti esigenze del mio spirito, sforzando tutto il mio essere alla comprensione delle diverse interpretazioni dell’arte plastica date dagli antichi maestri e dai moderni.” (!) A questo proposito è possibile stabilire un confronto d’immagine che può partire dallo stesso tipo di sintesi, che rifiuta la copia del vero, perpetrata da altri artisti famosi come ad esempio Kandinsky, Picasso, Chagall e lo stesso Matisse. La risultanza, rispetto ad alcune delle opere in mostra, è evidente, tanto da porre alcuni dubbi e lasciare aperte le discussioni. L’osservatore comune, come anche chi si affaccia allo studio della storia dell’arte o è già consolidato conoscitore, non può e non deve mai dimenticare di esercitare, magari dopo debito studio e analisi, quella necessità di critica e imparzialità di giudizio che non passa per le mode o per le mere operazioni intellettuali e commerciali di una categoria o per la voglia di grandeur di una nazione. Sarebbe utile quindi che, chi visita una mostra, possa fare i debiti distinguo tra un grande artista e le considerazioni funzionalmente estetiche che nascono dall’abile strategia di marketing ante litteram di un gruppo intellettuale e/o politico. Questo tipo di operazione critica sembra dimenticata dal nostro mondo contemporaneo. Se non ricomincerà dall’analisi dell’opera e non solo dal concetto che rappresenta, ci troveremo presto a fare i conti con una tuttologia estetica che tutto ammette e tutto giustifica. E soprattutto importante che nel giudicare oggi l’arte e gli artisti del vicino passato, non si applichino metodi contemporanei di giudizio usati in maniera retroattiva. Non si dimentichi che Matisse scrisse degli importanti saggi sulla pittura e che le sue idee ebbero grande seguito. Non sempre l’intellettuale è anche un creatore.
La mostra in oggetto è felicemente corredata da una serie di opere dell’arte e dell’artigianato africano e orientale. Questi oggetti, nella loro forza espressiva, nei colori, nell’aniconicità dichiarata, oppure nei ricchi arabeschi floreali delle superbe stoffe e delle splendide piastrelle di ceramica blu, come nel rigore delle maschere e dei sintetici tessuti africani, ci dovrebbero far comprendere meglio l’arte di Matisse, ma in realtà rappresentano una bellissima mostra a parte. Molto interessanti quindi le opere orientali: turche, siriane, egiziane, giapponesi; e africane: Costa d’avorio, Gabon, Congo ecc. che si snodano in un percorso anche fisico parallelo a quello dell’artista francese, e ci consentono comunque di fare collazioni e paragoni tra i linguaggi espressivi.
Roma. Scuderie del Quirinale. Fino al 13 Maggio 2015
Alessandra Cesselon