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L'origine della... "siesta"

Creato il 10 febbraio 2013 da Kimayra @Chimayra
Quella che gli Iberici chiamano "siesta", sostenendo di esserne gli "inventori", era un'usanza, invece, molto conosciuta dagli antichi Romani, che la chiamavano somnus meridianus o meridiatio. Era un'abitudine diffusa soprattutto tra i ceti medio-alti e alti e nella famiglia imperiale, ovviamente.
Molti nostri progenitori, prima del riposino pomeridiano, erano soliti fare una piccola passeggiata per prendere un pò di sole e, magari, leggere qualcosa. Come faceva Plinio il Vecchio che, secondo suo nipote, "dopo il pasto, che alla maniera antica, consumava (...) leggero e semplice, se ne aveva il tempo, si stendeva al sole e si faceva leggere un libro (...). Dopo aver preso il sole, quasi sempre si lavava con acqua fredda, quindi si rifocillava e faceva un sonnellino."
La meridiatio era riconosciuta anche agli schiavi e ai gladiatori durante gli allenamenti. In tempi tranquilli era un diritto riconosciuto anche ai soldati. Era, sostanzialmente, un'interruzione della giornata dedicata, per lo più, al lavoro ed alle occupazioni della professione e al tempo libero.
La giornata dei Romani era rigidamente scandita dal sole. Si iniziava assai presto, soprattutto nella bella stagione, in coincidenza con la prima frazione del giorno, l'hora prima. Plinio il Vecchio, però, secondo suo nipote, si recava ad udienza da Vespasiano ancora prima dell'alba.
Marziale afferma che le prime due ore erano quelle durante le quali i clientes si recavano alla dimora del loro patronus, dove aveva luogo la salutatio mattutina e la distribuzione degli incarichi e delle incombenze della giornata, allietate dalla consegna della sportula, il sacchetto dei viveri. Anche gli oziosi uscivano presto e se ne andavano a zonzo per la città.
La mattinata era occupata, per l'appunto, a svolgere lavori molto simili a quelli che occupano i moderni cittadini. C'erano bottegai, maestri di scuola, artigiani, ambulanti e impiegati nella complessa burocrazia statale. Gli impegni cessavano, in linea di massima, intorno a mezzogiorno, l'ora sesta (da cui l'origine del termine spagnolo "siesta").
Marziale scrive: "L'ora sesta offre il riposo agli affaticati, mentre la settima ne segna la fine". L'ora, per i Romani, non corrispondeva ad un preciso istante della giornata, ma ad un arco di tempo che aveva una durata variabile nel corso dell'anno. La giornata era divisa in dodici parti o frazioni: le horae, a seconda delle stagioni queste horae avevano una durata diversa. La durata minima, nel solstizio d'inverno (21 dicembre), la durata massima nel solstizio d'estate (21 giugno).
A metà giornata tutti usavano consumare un pasto leggero, il prandium, generalmente freddo, a base di formaggio, uova, verdure, olive, funghi, frutta non di rado accompagnati da vino con l'aggiunta di miele, il mulsum. Potevano anche essere utilizzati gli avanzi del giorno precedente, opportunamente riscaldati.
Dopo pranzo si prendeva una "siesta" di circa un'ora. Il pomeriggio era un lungo periodo di tempo libero, che ognuno utilizzava come meglio credeva. C'era chi passeggiava, senza una meta precisa, magari incontrando degli amici e per questo c'erano giardini, boschetti e portici in tutta Roma, soprattutto attorno alle grandi piazze dei fori e lungo le facciate delle basiliche. Ovidio ne consigliava la frequentazione ai giovani a caccia di "gentili donzelle".

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