Quando, quasi quattro settimane fa, la ‘povna e Spersa avevano iniziato a elaborare il progetto, sapevano che era insieme folle e giusto. Perché era tanto che volevano avere almeno ventiquattro ore per loro, senza altro; ma anche perché vedevano bene come scommettere sulle variabili di un fine settimana che si proiettava vicino, ma lontano, al di là di settembre, dell’inizio dell’autunno, dell’addio delle vacanze, si prospettasse come utopico e arrogante insieme. Ciò nonostante, hanno proseguito caparbie: Spersa ha confermato il lavoro a CittàLassù, a tempo debito; quindi la ‘povna ha prenotato, piano piano, un treno dopo l’altro; poi si sono procurate il loro alloggio; e poi non è rimasto che aspettare.
Nel mezzo, settembre si è dipanato faticoso come mai (per lo meno per la ‘povna) e pieno di prevedibili imprevisti: essere funzione strumentale al Pof e membro della commissione tosta (nonché del Comitato di Valutazione, e del Consiglio di Istituto) all’epoca della riforma Renzi significa combattere con molti mostri, in maniera quotidiana. Quando poi domenica scorsa ci si è messa pure una crisi allergica, e pure un principio di influenza, la ‘povna ha seriamente minacciato di licenziare lo sceneggiatore, come Connie. Infine, per gradire, la scadenza per la scelta del cosiddetto organico funzionale si è dipanata a cavallo del fine settimana che doveva essere libero: così, quando, giovedì sera si è trovata un messaggio di Barbie che l’ha raggiunta alle ore 22.40, seguito da una chat con la vicepreside, la ‘povna si è detta che non c’era più niente da sperare.
“Ma guarda te” – diceva il venerdì in piscina all’Ingegnera Tosta – “tutto cade in questo weekend che io mi ero programmata da trascorrere con Spersa, ti pare giusto?”.
“Tu abbi fiducia e non temere” – le rispondeva lei pacata come sempre – “sii insieme positiva e caparbia; e vedrai che tutto andrà come deve andare”.
Come dovevano, il venerdì pomeriggio, per la verità, è sembrato che le cose non andassero (oppure sì – ammesso che a fare in culo fosse il luogo deputato e giusto): perché la ‘povna si è trovata a fronteggiare una grossa complicazione che coinvolgeva Esagono e, come è noto, quando di mezzo ci si mette il suo amato vicepreside, la ‘povna non ha nemmeno mezzo dubbio su quale sia la parte dove stare. Dubbi no, certo; ma ansie parecchie – che sono quelle che l’hanno portata a scuola con anticipo (dopo aver nuotato all’alba): “‘povna, mi ero raccomandato, non hai dormito niente” – Esagono la accoglie con il libro già pronto da tirarle sulla testa.
“Ehm, effettivamente no, ero agitatissima: ieri eri così amareggiato, mi sono sentita in colpa”.
Esagono ride, ma solo a metà: “Penso di potermi permettere con te di riflettere ad alta voce, condividendo lo scontento” – ribatte lui in una insolita professione di schiettezza. E poi, quasi pentendosi, se la ‘povna non fosse molto rapida, le calerebbe con un colpo deciso il fermacarte sulla mano.
La ‘povna protesta per contratto, ma in realtà parte tranquilla: “Allora vado a CittàLassù, ma lascio cellulare e mail accesi” – promette ai vicepresidi.
“Tu vai, e basta, e non pensare ad altro” – a quel punto interviene DaddyLongLegs – “a parte il fatto che CittàLassù è lontanissima, e tu ad andarci e tornarci in ventiquattro ore sei come sempre solo matta, la domenica è fatta per farsi i fatti propri, anche se ci si chiama ‘povna: noi, di certo, non ti disturbiamo”.
I fatti propri la ‘povna non se li potrà fare del tutto, come dimostrano i messaggi (anche se non da parte dei vice, va pur detto) che, su qualsiasi canale, la rincorrono sui treni, mentre sale verso il nord, tappa pian piano dopo tappa: l’ultimo data la notte del sabato alle ore 1.28, e si ricomincia domenica alle 8. Tuttavia, nel mezzo, la ‘povna e Spersa riusciranno a godere della loro bolla di privilegio con una compunzione che è perfetta, così come di una bellezza che è difficile eguagliare.
Nel mezzo, hanno condiviso tanto, così come conveniva dal programma, brindato alla e alle amicizie (singolare e plurali – di cui c’è gran bisogno), assaggiato specialità buone, parlato fino a tarda notte, ciascuna sotto il suo lembo di piumino, e del suo grado di freddo; hanno passeggiato per la città, sotto quel sole bagnato che era solo divertente, imparato cose nuove, di progetti assai importanti. Poi, nella tarda mattinata di domenica, sono risalite insieme sulla Tamarrella, per scendere un poco più giù, ma sempre in mezzo alle montagne. La meta, stabilita, era una cittadina molto piccola, dove una via, e un numero civico, attendevano la ‘povna oramai da molti anni, come un pellegrinaggio familiare. Così, lassù, tra monti che non conosce, eppure sono incisi nella sua storia, senza appello, la ‘povna ha visto per la prima volta l’uscio e il negozio del palazzo di famiglia, da cui partì il bisnonno, alla volta della Cecoslovacchia, e di quella ragazza ebrea e dispersa che sarebbe diventata la madre nonno Caino, con tutto quello che poi conseguì per la loro storia familiare. La ‘povna ha visto il nome sul campanello, e la vetrina di un negozio che a lungo le era stato descritto, e ha condiviso tutto con narratari acconci (perché ce ne era bisogno).
Poi, piano piano, mentre pioggia e sole si alternavano bizzarri, è stato il tempo del ritorno. Quando sono rientrate sulla tangenziale nord, le strade di Milano sembravano alla ‘povna solo una cosa tanto ovvia, come se essere là, a casa, a dodici ore appena da una sveglia che la aspettava al di là dell’Appennino in un’altra città che è casa anch’essa, fosse solo poi normale. Così la ‘povna ha salutato Spersa, e si è avviata al treno folle. E, mentre guardava fuori dal finestrino il sole rosso del ritorno, ha pensato che – se glielo avessero detto anni fa – avrebbe riso dello sceneggiatore a bocca larga. E invece il modo in cui è andata a ripescare le sue radici, esattamente così come la storia si è dipanata in questi giorni, le è sembrato solo tanto ovvio e naturale.