L’oro, da sempre considerato bene rifugio nonchè espressione di una ricchezza accumulata, è da qualche anno tornato al centro delle cronache economiche e dell’interesse politico. Hugo Chavez volle rimpatriare l’oro venezuelano, l’oro del Venezuela e del suo popolo. A suo tempo era ancora aleatoria la voce che dava come semi-vuoti i depositi d’oro statunitensi. Questa voce però sembra essere cresciuta nel tempo; dibattiti speculativi sulla possibilità che a Fort Knox e a New York stoccato non ci sia oro, ma barre di tungsteno placcate, ci sono stati un po’ ovunque. Quando fu il Presidente venezuelano a rimpatriare il metallo prezioso, la stampa bollò spesso la manovra come politica populista e anti-americana; molto più semplice e onesta la realtà dei fatti invece.
La crisi economica iniziata nel 2007 ha generato incertezza in tutto il mondo e la discussione sull’oro si è riaccesa come prevedibile anche in Europa dove di populisti, soprattutto alla dirigenza delle banche centrali, non ce ne sono. Allora cosa succede? In questi giorni l’Olanda ha riportato in patria 122,5 tonnellate del suo oro che era depositato presso la FED negli Stati Uniti. La percentuale di metallo prezioso che l’Olanda intende detenere personalmente dovrà essere del 31% invece del precedente 11%. L’oro è stato prelevato unicamente negli Stati Uniti e non da Canada e Inghilterra e alcuni analisti vedono in tale operazione una palese sfiducia nei confronti della banca centrale statunitense. La Germania che possiede la seconda riserva aurea mondiale (3396 tonnellate) ha invece deciso di arrivare entro il 2020 a rimpatriare circa il 50% delle sue riserve.
In Germania dopo un’iniziativa popolare sposata anche da alcuni politici, la Corte dei Conti tedesca ha chiesto alla Bundesbank di avere dati certi sulle riserve depositate all’estero. A conti fatti però la Germania rimpatrierà in maniera significativa solo l’oro depositato in Francia per un totale di circa 374 tonnellate. La FED non restituirà alla Germania il suo oro: questo è il finale della vicenda tedesca, Berlino non potrà quindi ripristinare in casa le sue riserve auree come previsto. Sembra che la vicenda abbia ormai creato un precedente, il dibattito si è intensificato a livello politico e popolare dove ormai c’è la convinzione che l’oro sia stato dato in leasing o peggio ancora venduto. L’Austria più timidamente ha chiesto invece un auditing sul proprio oro, mentre in Italia vige un incomprensibile silenzio sulle nostre cospicue riserve auree.
L’oro come garanzia di stabilità e strumento economico internazionale
Uno dei motivi principali che ha generato la crisi economica, risulta essere senza dubbio l’enorme massa creditizio-debitoria generata dai derivati. La finanza speculativa ha ingigantito in maniera esponenziale la sua reale capacità di generare credito proprio grazie alla cessazione di vincoli monetari legati all’oro. L’ulteriore e definitivo freno lo ha poi perso con l’abolizione della Legge Glass–Steagall negli anni ‘90. L’economia reale si è ritrovata ancora una volta nella situazione ante ’29, con una crisi generata dalla speculazione pronta ad abbattersi sulle nazioni ed i popoli. Gli Stati uniti sono oggi un paese con un deficit nella bilancia commerciale che è cresciuto in maniera significativa. Sono un paese che quindi si indebita all’estero per consumare. Ciò è stato accettato per molto tempo a livello internazionale, ma le crisi e gli scandali della finanza sembrano aver incrinato quello che era un fattore primario nel riconoscimento internazionale verso gli Stati Uniti: la fiducia.
Essa nasceva dalla garanzia e dalla relativa stabilità dell’economia statunitense, ma le cose sono ormai cambiate nella sostanza. Le turbolenze del dollaro e la crisi economica sembrano mostrare uno sgretolamento dal quale i paesi cercano di mettersi in sicurezza, soprattutto in vista dei prossimi crolli. Non è un caso che in prima fila oggi, nell’accrescimento delle proprie riserve auree, vi sia la Cina seguita dalla Russia. Pechino ha necessità di garantire stabilità a livello interno ed esterno alla sua economia, ormai la prima del pianeta. Questo è uno dei motivi per il quale fu proposto l’uso della moneta paniere del FMI per le transazioni internazionali, ma non vi fu seguito. Il metallo è comunque utilizzato nella produzione domestica di molti beni di consumo e, quindi, la grande richiesta cinese è anche in parte dettata da questo fattore. Anche la richiesta da più parti per una nuova Bretton Woods, che ridiscuta l’architettura economico-finanziaria prima di un nuovo e più duro colpo all’economia reale, sembra poco realistica per il momento. Non vi è quindi stupore alcuno che le banche centrali si adoperino per la ricerca di garanzia verso il credito e le proprie economie. L’uso dell’oro per il leasing è poi uno di quegli aspetti di natura prettamente economica che mette in luce un meccanismo del mercato. Il potenziale della FED di mettere in leasing l’oro delle nazioni è un fattore di potenza che sul mercato le permette di mantenere ancora il suo primato. Ma se si scoprisse che l’oro non c’è, si innescherebbe una reazione a catena. Molto oro è già stato venduto ad aste e in maniera legale su esplicita volontà dei possessori. C’è quindi l’ombra di una speculazione sull’oro che si aggiunge al complicato mosaico.
Un sentore cupo in Europa è invece quello che vede l’Euro con i giorni contati. Da più parti si parla di una tragedia annunciata già alla nascita della moneta unica, ma eventuali attacchi speculativi sono comunque possibili e potenzialmente devastanti. Se far tornare l’oro dentro i propri depositi è quindi un gesto per dare fiducia ai mercati domestici, specularmente vi si esprime invece una più concreta e reale incertezza verso il sistema economico in generale. Detenere l’oro è sicuramente un fattore di condizionamento verso molte scelte politiche, questo ancor di più in un momento di crisi. Basti pensare che l’oro tedesco fu inviato fuori dal paese per proteggerlo da una possibile invasione sovietica. Oggi che il pericolo non c’è più non dovrebbe essere un tabù riportare l’oro tedesco ed europeo nel vecchio continente. In verità questo evento accentuerebbe la ricerca di quella nuova Bretton Woods che vedrebbe oggi nuovi e più incisivi attori sulla scena mondiale. Certamente questo processo decreterebbe un multipolarismo economico realizzato, modificando le strutture delle stesse organizzazioni internazionali. Per quanto se ne dica sembra quindi che l’oro abbia come asset un valore di portata geoeconomica e spostarlo possa contribuire a consolidare un cambiamento poco gradito, ma inevitabile e che forse verrà ulteriormente incentivato da future crisi invece che da processi di natura decisionale e quindi politica.