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Andando in pensione l'orologio rimaneva di proprietà del ferroviere stesso, quasi fosse una medaglia al valore, un riconoscimento che mantenesse anche a lavoro finito un segno distintivo di appartenenza ad una congregazione. Così l'orologio lasciò per sempre il taschino e rimase per decenni appeso ad un piccolo supporto sul mobile di quello che negli anni '60 si chiamava tinello. Ogni sera alle nove in punto, mio papà lo prendeva tra le mani con cura e, forse era una mia sensazione, gli dava un'occhiata acquosa piegando leggermente la testa da un lato, chissà se ricordando qualche fatto importante o semplicemente con un refolo di nostalgia, poi lo caricava facendo girare avanti e indietro il pomellino dentato superiore con un movimento ritmico sempre uguale, facendo attenzione a non spingerlo troppo a fine corsa. Poi lo riappoggiava con cura al suo supporto dandogli ancora un'ultima occhiata languida. L'esattezza dell'ora non veniva neanche controllata, neppure quando la radio dava l'ora esatta con il cinguettio dell'uccellino del Gazzettino Padano (incredibile, si chiamava proprio così il notiziario dell'una). Sarebbe stato come mettere in discussione un dogma. Quando me lo sono portato a casa mia, quel famoso orologio, l'ho messo pressappoco nella stessa posizione in cui ha stazionato per quasi cinquanta anni.
Il cambio di abitudini è spesso deleterio per gli anziani e non avrei voluto che qualche posizione negativa (così almeno prescrivono le regole del Fang Shui) avesse influenza sulle sue performances, anche se avevo provveduto a fargli fare un check up completo prima di spostarlo. Il fatto è che adesso che sta lì ed è venuto il mio turno, ogni tanto, anzi se devo essere sincero, spesse volte, mi dimentico di caricarlo. Così, quando mi volto e ci fissiamo per un attimo, io per sapere l'ora, lui per dirmela, mi accorgo di colpo della mia smemoratezza e lui, fermo con le lancette bloccate, mi guarda con una espressione di muto rimprovero. No, certo non è arrabbiato con me, ma mi pare scrollare un po' il capo come a dire che non c'è niente da fare, dove avranno la testa 'sti ragazzi, cosa combineranno nella vita se neanche si ricordano di caricare l'orologio. Io allora lo prendo quasi di soppiatto, giro e rigiro la rotella quasi facendo finta di niente, come se pensassi ad altro, ma sto bene attento a non forzare il fine cosa, poi lo rimetto al suo posto e me ne vado al computer senza voltarmi. Ma quegli occhi continuo a sentimeli dietro le spalle come una carezza leggera.
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