L’orribile moda delle “Foto Trofeo”

Creato il 02 aprile 2011 da Mondozio

I crimini di guerra sono vecchi come la guerra stessa e, quindi, quanto l’uomo. La prima grande opera letteraria della civiltà occidentale vale a dire l’Iliade di Omero narra il crollo morale di Achille durante gli ultimi giorni della guerra di Troia. La sua prolungata erosione etica e di auto-svalutazione culmina in una trasgressione vile: la profanazione e mutilazione di Ettore, il più grande eroe di Troia, che Achille aveva appena sconfitto in battaglia.

I tempi sono cambiati da allora, ma non la pratica di ripugnanti comportamenti sui campi di battaglia, sono cambiate le modalità: oggi va di moda la foto trofeo.

Le immagini, pubblicate da Der Spiegel e poi da Rolling Stone, bastano per concentrare l’attenzione del mondo sul caso. La foto ritrae un soldato sorridente che alza la testa di un afgano ucciso e si fa fotografare nello stesso modo in cui un cacciatore si fa fotografare con un ambito trofeo di caccia. Queste fotografie, sono le più scioccanti dallo scandalo di Abu Ghraib.

Quanto è diffusa la pratica del trofeo di guerra? Quante volte i soldati lo fanno? Perché lo fanno?

Guardando attraverso la storia della fotografia, una cosa è chiara: se i crimini di guerra sono vecchi quanto la guerra stessa, la foto trofeo risale alla prima volta in cui una macchina fotografica è stata portata sui campi di battaglia. Scavando in vari archivi fotografici, si possono reperire migliaia di queste foto trofeo: soldati in posa accanto a cadaveri con un comportamento che appare se non celebrativo almeno contento, felice.

Queste foto vanno dalla  guerra di secessione americana al conflitto in corso in Afghanistan.

Sono difficili da vedere. Ma sono anche difficili da capire. In epoche antiche, lo scopo di un semplice soldato era  restare vivo, e aveva spesso un odio comprensibile verso il nemico, questo portava in modo ricorrente alla profanazione dei cadaveri nemici. Oggi è più facile: basta scattare una foto che dice: “Il mio nemico è morto. Sono vivo. E sono molto felice di questo.

Ma il contesto conta. Sui campi di battaglia di Iraq e Afghanistan, i soldati sono tenuti a documentare non solo ogni combattimento e uccisione di cui sono responsabili, ma ogni corpo morto che capita, anche se è il prodotto di violenza locale. Spesso, usano le loro macchine fotografiche e non quelle in dotazione all’esercito. Essi scaricano poi le foto e inviano una selezione ai loro superiori che preparano una relazione per la registrazione, archiviazione ai fini di intelligence e che alla fine perviene al quartier generale.

Ciò significa che un soldato può avere tante foto di tanti cadaveri sul suo hard disk quasi per caso, spesso confuse con le immagini di lui in giro con gli amici in altri tempi e luoghi, creando un flusso di foto che possono essere stridenti per non dire altro. La facilità con cui ogni soldato può scattare e inviare foto ovunque nel mondo ha i suoi vantaggi evidenti, ma gli inconvenienti sono straordinari e, per le autorità governative e militari, sono terrificanti.

Grafiche, foto incendiarie, di cadaveri, ufficiali o non autorizzate, è possibile duplicarle e trasmetterle con pochi clic, e possono scatenare un incidente internazionale di importanza assolutamente strategica in una poche ore.


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