Un'esperienza introspettiva, tutta italiana, che toglie il sonno
Non sapevamo che l'ex ospedale psichiatrico più grande d'Italia si trovasse a Volterra. Fondato nel 1887, si è sviluppato al punto tale da contenere oltre 5.000 internati ed è rimasto attivo fino all'entrata in vigore nel 1978 della legge n. 180, meglio conosciuta come Legge Basaglia, che impose la chiusura dei manicomi e una nuova regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio.
Dei manicomi sappiamo poco. Le testimonianze di ex pazienti e membri del personale ci dicono che erano luoghi di sofferenza e degrado, dove spesso di otteneva l'annientamento della persona anziché la sua cura. E sovente ci finiva anche chi veniva considerato inopportuno per motivi politici o per una condotta sociale osteggiata. Forse questa è una delle ragioni per cui questi luoghi ci fanno inconsciamente tanta paura e sono stati scelti come teatri di innumerevoli film e videogiochi dell'orrore. Purtroppo il tentativo di esorcizzare la paura di essere sepolti vivi e costretti a incontrare la propria follia ha finito per banalizzare e nascondere la realtà storica. Questo almeno è quello che abbiamo imparato cercando qualche fonte documentata su Google. E se abbiamo tentato la vostra pazienza con una lunga introduzione è perché The Town of Light, opera prima del gruppo di sviluppo italiano Lka, è ambientato proprio nell'ex ospedale psichiatrico di Volterra e racconta le memorie di una paziente scampata all'istituzione totale. L'intento degli sviluppatori non è comunque raccontare la storia di quel manicomio in particolare o di una paziente realmente esistita. Si tratta solo di un punto di partenza per parlare della sofferenza dei malati di mente, spesso scontata in solitudine o in situazioni che anziché lenire, acuiscono il loro disagio. Ma non fatevi trarre in inganno: The Town of Light è un videogioco a tutti gli effetti, e di quelli che fanno venire la pelle d'oca, solo si fa carico di trasmettere un messaggio che possa smuovere la coscienza del giocatore e fargli conoscere realtà che magari ignorava. Siamo qui a parlarvene perché abbiamo avuto la possibilità di provare in anteprima una versione pre-alfa del gioco. Tutto comincia con la luce e la visione di una porta che divide l'interno di una stanza spoglia, forse una cella, dal mondo esterno. Dentro questa stanza c'è una donna, la protagonista del gioco. La prima cosa che ci colpisce è la sua voce, che nella realtà appartiene a Daniela D'argenio. Non è la solita voce senza passato che siamo abituati a sentire. Il timbro appartiene a una donna adulta e riusciamo a percepire che c'è una vita vissuta dietro le parole che pronuncia; possiamo quasi darle un volto. Ciò accadeva a Volterra nel 1942. Poi la presentazione finisce e comincia la demo, sempre a Volterra, ma questa volta nel 2012.Una storia vera?
Davanti a noi c'è un delizioso sentiero immerso nella natura. Manca un'ora o giù di lì al tramonto. Il mondo è colorato di giallo e rosa. Avanziamo guidati dai pensieri della protagonista. In fondo al sentiero vediamo comparire un edificio vasto e abbandonato. Reti metalliche impediscono l'accesso, accompagnate da un paio di cartelli appesi dal comune di Volterra. Questi due cartelli ci hanno fatto venire un tuffo al cuore, perché sono italiani, indiscutibilmente.
La vegetazione, l'edificio, quello che vediamo sullo schermo sta succedendo nella nostra terra - una volta tanto - ed è bellissimo, oltre che intenso, perché più vicino alla nostra esperienza. Comunque non ci facciamo intimidire dai divieti e spingiamo a terra una delle reti. Esploriamo la parete dell'ex ospedale psichiatrico e troviamo un generatore di energia. Sollevare la leva e rimetterlo in funzione è facile, avviene tutto naturalmente grazie alla semplicità dei comandi. La luce verde che si accende è come un via libera al fluire dei ricordi, e infatti poco dopo entriamo nell'edificio. La ricostruzione fatta dagli sviluppatori è accuratissima: basta confrontare le schermate con le foto scattate da Nicola Gronchi, Eleonora Castagnozzi o Giacomo Baldi, che hanno documentato la realtà odierna del famigerato manicomio. I dettagli parlano, raccontano una storia. I muri sono screpolati come quelli delle vecchie scuole dentro cui molti di noi hanno studiato. Notiamo una sedia a rotelle in un angolo, reti di letti abbondate come scheletri e uno squallore diffuso che non testimonia solo l'opera distruttiva del tempo, ma è anche l'espressione di un'umanità imputridita che ha permeato le sale. In questa versione del gioco, ancora molto acerba, la maggioranza delle aree che compongono i padiglioni Ferri e Charcot sono inaccessibili, ma ci sono comunque diversi ambienti esplorabili che ci accolgono con i loro vetri rotti e la luce del giorno morente che filtra attraverso le inferriate. A guidarci nella nostra ricerca c'è ancora una volta la voce interiore della protagonista, la quale, con frasi tormentate, ci chiede di ritrovare la sua bambola, Charlotte. L'interfaccia di gioco è inesistente e questo aumenta ancora di più il senso di immersione, anche se per arrivare a livelli da incubo bisognerebbe provare a giocare a The Town of Light con Oculus Rift, una periferica alla quale gli sviluppatori stanno dedicando moltissimi sforzi. Ma anche senza visore è impossibile non farsi coinvolgere fin da subito dall'autenticità dell'ambientazione, che ha molto da dirci, se sappiamo dove cercare. Tra gli scaffali si trovano infatti documenti originali compilati quando l'ex ospedale psichiatrico era ancora attivo. Ci sono inoltre strumentazioni mediche, radiografie appese a una parete e sinistre tavole anatomiche. Cosa succedeva in questi luoghi? Un commento della protagonista ci fa sospettare che sia stata vittima di abusi sessuali, ipotesi che ci disturba, e che vorremmo negare. Forse sarebbe meglio lasciare perdere tutto, ma Charlotte è là da qualche parte. Quando finalmente la troviamo assistiamo a una sequenza che ci mostra un frammento del trauma infantile vissuto dalla protagonista e l'origine del suo legame con la bambola. Charlotte appare ora tra le mani della donna, che l'accarezza con il pollice dallo smalto consumato, un gesto commovente, in netto contrasto con l'espressione sinistra della bambola. Gli occhi di quel giocattolo decrepito sembrano sapere cosa ci attende al di là dell'ultima porta accessibile, alla quale possiamo accedere dopo avere accomodato Nicole su una sedia a rotelle, per poi spingerla fin sotto tre lampade che dovrebbero tenerla al caldo. A quel punto The Town of Light deforma la realtà. Le note del pianoforte lasciano il posto a un suono ossessivo e i corridoi ruotano e si ribaltano, finché non resta altro che una luce intensa. Una sequenza animata ci mostra il giorno in cui la protagonista è arrivata nell'ex ospedale psichiatrico. Lì finisce la demo e comincia il suo tormento. The Town of Light - Video della alpha