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La trama (con parole mie): Walter è un tranquillo professore che da vent'anni ripete le stesse lezioni in un università del Connecticut, limitandosi ad apporre la firma su saggi che non ha neppure scritto, sognando di imparare a suonare il pianoforte in memoria della defunta moglie.Quando, dovendo presenziare ad un seminario, si troverà a tornare nel suo vecchio appartamento di New York, Walter farà uno degli incontri più importanti della sua vita: Tarek e Zainab, due giovani immigrati non in regola, infatti, sono stati ingannati da un intermediario che ha concesso loro in affitto proprio l'alloggio da anni inutilizzato del professore.I tre, ed in particolare Walter e Tarek, coltivano da subito un legame d'amicizia unico con le radici affondate nell'incontro tra la musica classica tanto amata dal primo ed i ritmi afro del secondo: quando, per una casualità, il giovane verrà arrestato e la minaccia dell'espulsione dagli States si farà incombente, Walter cercherà in tutti i modi di aiutare il ragazzo.
Devo ammetterlo: mi sento in colpa per avere lasciato da parte Thomas McCarthy per così tanto tempo.
Fortunatamente, l'approdo sugli schermi di casa Ford di Win win ha riportato in auge questo talentuoso volto del panorama alternativo statunitense, ed ha immediatamente indotto a recuperare la pellicola "di mezzo" della sua filmografia persa nel corso degli ultimi anni, quest'ottimo The visitor che, in una certa misura, rappresenta la prova più matura dell'autore del New Jersey, alle prese con una produzione decisamente più importante rispetto al suo esordio dietro la macchina da presa - The station agent, già citato a proposito della sua ultima fatica, giusto ieri - ed una tematica certo non facile, quella dell'immigrazione.Sfruttando il misurato Richard Jenkins nel ruolo di Walter, infatti, McCarthy racconta con la sua ormai caratteristica onestà di scrittura una storia "sottovoce" legata a doppio filo alla scoperta dell'altro, di se stessi e alla paura serpeggiante dilagata negli States - e non solo - dopo l'undici settembre, tradotta in una denuncia che non grida allo scandalo o cerca lo sconvolgimento dello spettatore, ma sottolinea quanto, a volte, i piccoli drammi possano essere terribili quanto i grandi, da una parte e dall'altra di una frontiera.
Il tutto mantenendo una leggerezza quasi da commedia legata a doppio filo alla rinascita di Walter, che attraverso il passaggio dal pianoforte allo djembe e dalla musica classica a Fela Kuti riscopre se stesso neanche fosse il Lester di American beauty, tornando a vivere per la prima volta dopo un letargo volontario e noioso durato fin troppi anni, se non addirittura da tutta la vita: la scelta di percorrere questa sorta di rivoluzione interiore attraverso i piccoli dettagli - il cambio della montatura degli occhiali, le pause pranzo al parco, le prime jam sessions con i musicisti di strada - è profondamente stimolata da Tarek e da sua madre, personaggio fondamentale nell'economia della pellicola - decisamente più di Zainab - che permette al protagonista di compiere un ulteriore passo in avanti e al film di cambiare marcia, spostando l'attenzione dello spettatore su una sorta di misurato dramma romantico in grado di fare da contrappeso alle vicende del giovane musicista in custodia presso l'immigrazione e sulla via di essere perduto nelle labirintiche pieghe della burocrazia e dell'indifferenza al confine con la quieta violenza degli ingranaggi della stessa.
Ancora una volta rispetto ad un lavoro di McCarthy, non lasciate che un'apparenza retorica possa influenzarne la visione: lasciatevi conquistare dal ritmo lento eppure deciso e da una vicenda che trailer e distribuzione potranno anche aver mascherato da commedia alternativa leggera ma che, in realtà, cela una realtà assolutamente credibile e per nulla buonista o consolatoria, che nel corso di tutta la durata conserva il suo pregio più grande proprio nel saper trasmettere un messaggio e sentimenti forti senza mai avere bisogno di alzare i toni e la voce, ma che avanza sottopelle come l'incedere dei tre tempi delle percussioni.
Un pò come tutto il Cinema di questo ancora troppo poco conosciuto regista: storie come potrebbero essere le nostre, di quelle che, a fronte di una realtà sempre più caotica - quella che vede le luci e i colori di Broadway illuminare sogni e aspettative sempre e solo "in grande" -, resistono con le unghie e con i denti, il cuore e la musica, i sentimenti ed i ricordi: e nell'immagine di Walter finalmente deciso a suonare lo djembe in metropolitana, proprio alla fermata di Broadway - perchè si dice che lì si facciano i soldi, a detta di Tarek - c'è tutta la magia di una vita "normale" che pare aver trovato il suo palcoscenico migliore.
MrFord
"You dey go your way, the jeje way
somebody come bring original trouble
you no talk, you no act
you say you be gentleman
you go suffer
you go tire
you go quench
me I no be gentleman like that."
Fela Kuti - "Gentleman" -
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