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“L’ospite indocile” di Lucianna Argentino

Creato il 13 aprile 2013 da Viadellebelledonne

Ospite Indocile

Ricevo una breve ma intensa nota di lettura al mio nuovo libro “L’ospite indocile” (Passigli, 2012) di Paolo Carlucci e con gioia la condivido con i lettori di Viadellebelledonne anche per renderli partecipi di questa mia nuova creatura poetica.

S’individua ne L’ospite indocile,ultima opera poetica di Lucianna Argentino,edita da Passigli, un acuto bisogno di restituire alla parola la centralità del suono interiore di una preghiera che barlumi d’infinito il senso irsuto della vita, il vuoto degli esseri/ che ci stanno accanto come un’assenza. La contingenza dell’infanzia gioca la carta della meraviglia, della libertà, senza domini, e sfiata l’infinito, come s’avverte in uno dei testi centrali della raccolta,In preghiera si ricrea il suono/ se del poeta alle spalle/ mi spiove lo sguardo/ e la bambina s’alza/ senza domini/ col solo piccolo scopo/ di liberare Dio. Ma troppo a lungo e giustamente, nella vertigine metafisica la poetessa non risiede e sta creatura di fronte alla marina, assorta ora in pensieri sublimi/ ora in pensieri bassi/ che ugualmente forti sono/ la carne e lo spirito. Bestia odorosa di luce,ella si muove agilmente nella dialettica corpo-anima, risolvendo in immagini vivide di evangelismo metropolitano le sue emozioni di vita e di fede. Prossimi al mio dire/ quelli battezzati con la terra/ rivestiti della grazia delle zolle/ braccati nelle selve cittadine/ entro radure di pestilenze umane, di ossa rotte, di fracassate speranze./prossimi al mio dire/ quelli senza peso, senza giusta misura/ predestinati all’indeterminazione, / cause efficienti della frazione del pane.

Bruciante nel contrasto la cattolica, nel senso anche etimologico, del pubblico cui tende il proprio dire,chiuso in un’asola, sia il pertugio e rifugio, sia il chiuso esposto alla parola che diviene asola di luce, andatura interiore, sapienza. Insomma (Dio – il mare) è voce che mai tace/ è abisso di luce. Orizzonti infiniti che pungono ad una ricerca di figura di sé nel creato. Ospite indocile, dunque, la luce che s’attarda spiraglio di cauta ragione … o sta come le cose/ nella quiete dei ripostigli. Il poema di questa religiosità inquieta che oscilla perenne tra un francescano porsi nell’angolo, Mi scanso, mi scosto per lasciar posto al Verbo che sgorga, faccio posto a quanto di me chiedete, arriva al fortissimo e metto a tacere anche Dio, smorzato nell’enjambement efficace di chiusa, se volete, dopo aver offerto, con rapida immagine d’interno, quasi da natura morta, una tovaglia di pizzo, un vaso di fiori,cose ordinarie, normali. E attraverso queste gemme di parole, piccoli e in fioritura in genesi di grammatica o nella sintassi delle porte si snoda , quasi paolino, il percorso di folgorazioni in cui buono è l’albero e la sua ombra/ buono è il cielo e la sua distanza nel mortaio di sensi che la misura della visione è provata da quella della stonatura, che, oltre l’incanto, svela, intensa di umanità vissuta, la fabbrica di poesia di Lucianna Argentino.

Dice che non c’è addio nelle asole

e asola allora sia:

poca materia intorno e vuoto.

Sia passaggio e allaccio

sia lo spazio dell’abbraccio

sia pertugio e rifugio

sia il chiuso esposto alla parola.

***

Sommale le storie, fanne cifre aguzze

come gli anni di quelli vissuti

sulla capocchia di uno spillo;

prendimi il fiato, la rincorsa;

trattienimi dentro silenzi

in ascolto delle radici,

del crescermi dell’anima

mentre scrivo per sapere cosa è natura

e cosa è sostanza e come fa a essere buono

un frutto o un uomo.

***

La guerra finì

e loro che c’erano nati dentro

ne uscirono con vaghi ricordi

di allarmi e vermi nella minestra.

E nonna, quella di cui porto metà del nome,

presa nella continuità spazio temporale,

è malamente è malamente, ripensava

e quando le offrivano del vino

na cria diceva, una goccia, una lacrima.

No cry nonna no cry

passati ormai a un’altra storia

a un’altra guerra di tutto il lascito

ce ne resta na cria.

***

Gli abbracci vuoti,

da braccia nude,

senza niente in mezzo.

Solo abbraccio.

Solo contrarsi di muscoli e tendini,

solo flettersi della pelle

sulla pelle di ciò che è carnale e basta,

in comunione con l’attimo del concepimento.

Vita sottratta alla morte – questo è nelle parole,

aratro sulla carne a scavare solchi complici

del potenziale elettrico del cuore.

***

Andava incontro al padre

lo rimetteva al passo,

al presentimento postumo.

Fate presto, fu ciò che in ultimo

udì da lui vero di voce.

E la voce rimasta a vibrare

in qualche punto indeterminato,

catturata dove la memoria

non è questione di sinapsi e neuroni

piuttosto del moto armonico semplice dell’amore

che tiene alto il coefficiente di correlazione

tra i vivi e i morti.

***

Scrivo di nascosto da Dio

che nella bocca voglio parole mie

e niente niente

nel passaggio dalla fronte alla spalla

dal gomito alle dita alla punta della penna

al suo muoversi sul foglio

per mio sentire altro

per meditato silenzio e pulsare di tempie

per il mio stare accovacciata

presso lo scavo con l’angelo geometra

e la sua corda a misurare

quanta benedizione c’è sulla terra.



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