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L'ossessione delle destre per l'articolo 18

Creato il 08 settembre 2014 da Veritaedemocrazia

L'ossessione delle destre per l'articolo 18

Renzi si esercita ispirandosi al suo modello by Luca Peruzzi


Se essere di destra significa sostenere gli interessi delle classi dominanti contro quelli delle classi subalterne cosa c'è dietro l'ossessione ricorrente di tutte le destre (quella liberale-liberista alla Monti e Giavazzi, quella populista di Berlusconi, quella modernista plebiscitaria del PD renziano) verso la 'riforma' del lavoro ed in particolare verso l'articolo 18? Questa offensiva non è nata oggi e l'assedio dura da anni: si è aggirato l'ostacolo con le leggi Treu e Biagi che istituivano il precariato creando una scissione insanabile nel mondo del lavoro dipendente tra 'garantiti' e 'non garantiti'; la manifestazione organizzata dalla CGIL di Cofferati il 23 marzo 2002 al Circo Massimo per salvaguardare l'esistenza dell'articolo 18 rappresenta forse l'ultimo grande 'segno di vita' della Sinistra nella storia del nostro Paese, per gli ex 'socialisti' craxiani Brunetta e Sacconi è la madre di tutte le battaglie, la Fornero con la sua riforma, sotto il governo Monti, ha realizzato un ulteriore passo in avanti verso la cancellazione di questo principio di civiltà. Oggi la riforma del lavoro (e dunque l'abolizione dell'articolo 18) è la priorità di tutto l'establishment economico e finanziario italiano ed internazionale: per Draghi (e se non ho capito male anche per Juncker) è la condizione per accordare una qualche flessibilità nel rispetto dei parametri europei sui conti pubblici, per gli imprenditori intervenuti al convegno di Cernobbio è l'unica cosa che ci si aspetta realmente dal governo Renzi (e per Scaroni, l'ex capo dell'ENI, il giudizio su Renzi dipenderà da quali risultati riuscirà ad ottenere al riguardo), questo argomento è all'origine di contrasti, mugugni e distinguo tra il potere economico italiano (espresso attraverso i suoi organi di informazione Repubblica, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore) e Renzi.
Per un establishment economico che ragiona in termini di velocità nel poter cogliere le occasioni di profitto è inaccettabile l'atteggiamento di Renzi che subordina la questione del lavoro alla propria partita personale per il potere e dunque ne criticano l'impantanamento nella riforma costituzionale ed elettorale i cui esiti sono tutt'altro che certi anziché operare subito per realizzare le cosiddette riforme. L'impressione cioè è che Renzi voglia arrivare alle elezioni nella primavera del 2015 con un nuovo assetto costituzionale ed una nuova legge elettorale che ne garantiscano per anni e anni la permanenza al potere prendendo tempo per quanto riguarda l'esecuzione dei diktat liberisti più impopolari e penalizzanti sul piano elettorale su pareggio di bilancio e lavoro. E da questo oltre che dallo stretto rapporto di dipendenza da Berlusconi nascono probabilmente molte delle critiche espresse ultimamente sulla stampa espressione del grande capitale. Tornando alla domanda di cosa c'è dietro l'ossessione delle destre per l'articolo 18 è evidente che  si tratta di una questione considerata decisiva per gli interessi del grande capitale. E che l'affermazione secondo cui maggiore flessibilità in entrata (assunzioni precarie) ed in uscita (licenziamenti) dei lavoratori consentirebbe di aumentare l'occupazione è una colossale balla. L'Italia era già nel 2012 (secondo i dati OCSE) uno dei Paesi più flessibili per assunzioni e licenziamenti, la legge Fornero ha sostanzialmente svuotato l'articolo 18 che peraltro non si è mai applicato alle aziende con meno di 15 dipendenti e né, soprattutto, in caso di crisi aziendali: tutte queste cose peraltro non hanno impedito all'Italia di avere uno dei più alti tassi di disoccupazione in Europa. La questione dunque è un'altra: i lavoratori garantiti dall'articolo 18 sono tra i 9 e i 10 milioni (stime raccolte sul web) ed avere la libertà assoluta (la legge Fornero evidentemente non è considerata sufficiente) di farne fuori dalle aziende anche solo 2 o 3 milioni e sostituirli, ove necessario, con giovani precari sottopagati significherebbe trasferire ai profitti decine di miliardi di euro dalla quota di reddito nazionale oggi assorbita dai salari, accrescendo il valore di borsa delle aziende italiane e il loro prezzo di acquisto per gli investitori stranieri. Poter falcidiare centinaia di migliaia di lavoratori anche nel settore pubblico significherebbe altresì recuperare quei miliardi di euro con cui finanziarie nuove mance elettorali come quella degli 80 euro e quelle opere pubbliche con cui dare lustro ai membri del governo e far girare soldi per appalti e tangenti. Si aggiunga a questo la ben maggiore attitudine produttiva e la malleabilità di giovani precari, vergini da ogni velleità di sindacalizzazione, rispetto a navigati 'garantiti': solo per fare un esempio senza l'articolo 18 non sarebbe mai stata possibile la vertenza della Fiom su Pomigliano d'Arco.  Così l'imprenditore cessa di essere il datore di lavoro e torna ufficialmente ad essere il Padrone. Cancellato definitivamente l'articolo 18, nel giro di qualche tempo non è da escludere che i dati macroeconomici (il PIL, il numero degli occupati, le esportazioni, gli investimenti dall'estero) farebbero anche dei progressi (come in Grecia dove dopo il crollo del PIL del 25 per cento se ne annuncia con toni trionfalistici peana l'aumento dell'1 per cento) ma dovremmo chiederci tutti se è questa la società che vogliamo. Una società composta da una piccola minoranza di ricchi e una stragrande maggioranza di poveri e di precari in un contesto economico e sociale reso ancora più drammatico dallo smantellamento del welfare, dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali e dunque dall'incremento delle loro tariffe, dall'erosione dei risparmi familiari a causa del crollo dei valori immobiliari.
I giovani sono disposti, in cambio di illusorie opportunità di lavoro, a sostenere le riforme di Renzi e di Draghi e ad andare contro i propri stessi padri e le proprie stesse madri? Il diritto alla stabilità del lavoro, alle ferie e alla malattia pagate, ad una pensione non sono privilegi ma semplicemente la NORMALITA' che andrebbe estesa a tutti e non tolta a chi ce l'ha ancora. Noi vecchi lasceremo che vengano bruciate, senza lottare, le speranze di serenità dell'ultima parte della nostra vita? La vecchia dirigenza sindacale e politica di quella che un tempo si chiamava Sinistra accetteranno di rendersi complici, guardando passivamente gli eventi o in cambio di qualche misera ricollocazione personale, dell'annientamento di conquiste frutte di secoli di lotta dei lavoratori?  

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