Leggere la nuova intervista a Di Tolve su Il Giornale mi fa capire quanto disperata sia la condizione dei media in questo paese. Un giornalista non dovrebbe pubblicare un’intervista così piena di inesattezze e senza accertare i fatti. Di Tolve sbandiera le solite cose che ormai ripete come se fosse un disco rotto. Chi legge e non è indottrinato in un estremismo religioso che crea mostri invece di amore si rende immediatamente conto della disperazione e della confusione che riempie la vita di Di Tolve. Innanzitutto leggiamo un resoconto dell’ambiente gay devastante ma nessuno dice, e anzi i due protagonisti, giornalista e intervistato, si vedono bene dal farlo, che ciò che descrive Di Tolve è solo un aspetto del mondo GLBT. È vero ci sono i locali, c’è la prostituzione, ci sono le dark e le saune. Allo stesso modo in cui ci sono i cruising per eterosessuali, le dark per eterosessuali, i locali e i luoghi di scambio di coppia per eterosessuali. A nessuno verrebbe mai in mente di sostenere che siccome un eterosessuale ha vissuto esperienze estreme tutti gli eterosessuali sono dei maniaci sessuali con una sessualità decadente. Allo stesso modo in cui a nessuno verrebbe in mente di dire che siccome è stato a Milano, in un locale etero, e ha visto uomini e donne sniffare cocaina tutti gli etero sono dei cocainomani. Chi ha un minimo di intelligenza comprende subito che certi ambienti e certe “abitudini” esistono a prescindere dall’orientamento sessuale. A me dispiace che Di Tolve generalizzi la sua esperienza. Certo avrà conosciuto molte persone che, come lui, hanno fatto del sesso, della droga e dell’alcool la propria esperienza di vita. Del resto se sei abituato a frequentare certi luoghi poi non puoi di certo aspettarti di trovarci Maria Goretti.
Affrontiamo una cosa per volta perché, come al solito, Di Tolve mette sempre tanta verdura al fuoco (perdonatemi sono vegetariano) pur di avere ragione. Partiamo dalla bulimia sessuale che Di Tolve ha vissuto sulla propria pelle. Facile dare la colpa agli amici di scuola, alla mamma, al papà che se n’è andato, agli psicologi che lo hanno incoraggiato ad “essere se stesso”. Il manuale tascabile dello psicologo fai da te è pieno di queste sciocchezze che piacciono tanto a Nicolosi. Forse è inutile persino ricordare che uno dei collaboratori di Nicolosi, George A. Rekers (membro del consiglio d’amministrazione del NARTH che si è poi dimesso perché “pizzicato” in compagnia di un prostituto), è stato, negli anni settanta, promotore dell’esperimento denominato Sissy Boy Experiment per guarire i bambini “effeminati”. Uno degli involontari partecipanti a questo esperimento, una vittima che all’epoca aveva cinque anni, tal Kirk Murphy, a trentotto anni si è tolto la vita. Nicolosi, il “guru” delle terapie riparative, è, come ama ripetere Di Tolve, membro dell’APA (American Psychological Association ) e, tuttavia, all’APA hanno sentito la necessità di pubblicare un resoconto (scaricabile gratuitamente in italiano qui ) sui nefasti effetti delle terapie riparative. Quando sentite parlare di queste terapie, inevitabilmente, almeno in Italia, sentirete anche parlare di gruppi di sostegno religiosi, di preghiere e di molte altre cose che con la scienza non hanno nulla a che vedere. Sono molte le domande che mi sorgono spontanee: Di Tolve pratica terapia riparativa? La sua associazione (gruppo LOT regina della pace) promuove terapie riparative? Per partecipare a questi “gruppi” occorre pagare? Ci sono degli psicologi, all’interno del gruppo LOT, che fanno terapie riparative? A questi gruppi partecipano anche delle persone minorenni?
Giusto per fare un po’ di chiarezza vorrei ricordare che l’omosessualità non è considerata una malattia mentale da parecchi anni ormai. Proprio di recente è stato redatto un documento che trovate sul sito Noriparative firmato, ad oggi, da 2018 professionisti compreso Luigi Palma Presidente dell’Ordine Nazionale degli Psicologi. Riporto inoltre, molto volentieri, il comunicato stampa dell’ordine del 19 luglio 2011:
“COMUNICATO STAMPA
19 luglio 2011
OMOFOBIA – La POSIZIONE DEGLI PSICOLOGI
Il Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, dott. Giuseppe Luigi Palma, in occasione delle accese discussioni sulla iniziativa legislativa contro l’omofobia ribadisce la sensibilità della categoria professionale al tema e la chiarezza della posizione con la quale si è da sempre espresso sulle criticità connesse.
Nel rapporto tra omosessualità e psicologia il Presidente ribadisce che l’omosessualità non è una malattia da curare, né un orientamento sessuale da modificare: affermare il contrario è una informazione scientificamente priva di fondamento e foriera di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale.
L’omosessualità non è una malattia ma, citando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una “variante naturale del comportamento umano”; è peraltro ampiamente dimostrato che i tentativi di “conversione” dell’omosessualità in eterosessualità non solo falliscono, ma anche segnano, e spesso gravemente, le condizioni psichiche di chi vi si sottopone.
Perché “curare” ciò che non è malato? Su questi punti, il consenso della comunità scientifica italiana e internazionale è assoluto.
Lo psicologo non deroga mai ai principi del Codice Deontologico, nessuna ragione né di natura culturale né di natura religiosa, di classe o economica può spingere uno psicologo a comportamenti o ad interventi professionali non conformi a tali principi. E’ evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna “terapia riparativa” dell’orientamento sessuale di una persona, quanto piuttosto lavorare insieme al proprio cliente per superare eventuali disagi connessi al proprio orientamento sessuale.”
Fa quasi tenerezza vedere come Di Tolve racconti sempre la stessa storia, sembra quasi con un certo affetto e un po’ di rimpianto, di quando giovane e bello aveva almeno due rapporti sessuali a settimana, di quando nel cattivo ambiente gay sniffava cocaina e si ubriacava. Non posso di certo capire cosa prova o cosa ha provato visto che i miei partner, all’età di trentacinque anni, si contano sulle dita delle mani (va bene mettiamoci pure un piede va), visto che non ho mai sniffato cocaina o fatto uso di droghe (a parte una canna una volta in compagnia di amici eterosessuali), visto che l’unica volta che mi sono ubriacato avevo diciannove anni ed ero in vacanza con la scuola. Insomma sembra che il passatempo preferito di Di Tolve sia scaricare le proprie responsabilità sugli altri. Ognuno è artefice del proprio destino, se questo signore, come moltissimi altri uomini e donne, non ha avuto rispetto per se stesso e per gli altri non è perché è (ops, scusate, era) gay ma perché non ha avuto la forza di uscire da un sistema estremamente diffuso a prescindere dall’orientamento sentimentale e sessuale. Le ultime statistiche parlano, per quanto riguarda l’Italia, di un infettato da virus HIV ogni due ore e sono in aumento i casi soprattutto nell’ambiente eterosessuale (e con questo non voglio far abbassare la guardia alle persone GLBT). Comprendo che trovarsi nella condizione di vedere i propri amici morire, come è accaduto a Di Tolve, e poi scoprire di aver contratto il virus sia una prova davvero durissima per chiunque. Dai racconti di Di Tolve si comprende anche quanto la bella vita gli piacesse, tanto da utilizzare il proprio corpo come merce di scambio.
Vorrei dire una cosa anche delle presunte minacce di morte (avrà fatto denuncia, sì?) e sulle manifestazioni delle persone omosessuali contro Nicolosi e le terapie riparative.
A nessuno frega niente se Di Tolve si sente eterosessuale, si è sposato o vuole dei figli. È liberissimo di vivere la propria esistenza come meglio crede. Alfred Kinsey sosteneva che la sessualità non è una linea retta, occorre guardare alle tante sfaccettature. Sono la società del maschio e la religione a dover incasellare per forza le persone, o è tutto nero o è tutto bianco. Ma non è così, non lo è mai stato e mai lo sarà. Quindi Di Tolve si rassereni, l’unico che cerca di trarre vantaggio dalla sua storia è proprio lui, la comunità GLBT è molto tranquilla, non importa a nessuno se Luca prima era gay e adesso sta con lei.
Ci preme molto invece affermare che le terapie riparative sono dannose e inutili e che l’omosessualità non è qualcosa da cui guarire. L’immagine che esce dall’intervista del signor Lorenzetto mette in evidenza un uomo fragile che ha cercato un “colpevole” alla sua malattia trovandolo nella propria (presunta) omosessulità e che ha cercato una via di redenzione nella religione e nelle terapie riparative. Ma ci sono linee deontologiche nella medicina e nella psicologia, linee che non ho deciso io e neppure i movimenti GLBT, linee che hanno deciso professionisti seri e rispettabili.
Come forse qualcuno avrà compreso, in questo paese, una legge contro l’omofobia non sarà mai approvata. Le pressioni delle caste e delle lobby cattoliche sono troppo forti perché qualche partito, di destra o di sinistra, rischi la propria stabilità e il proprio potere per le persone GLBT. Di Tolve quindi stia sereno, potrà continuare a pubblicizzare il proprio libro senza rischiare il carcere. Anche quando Di Tolve sparla di Veronesi (con il quale, per inciso, io non sono d’accordo perché ogni forma di amore merita lo stesso rispetto, non esiste un amore più puro e uno meno puro) non può trattenersi dal parlare di luoghi che con l’amore nulla hanno a che fare. Di Tolve continua a confondere sesso e amore facendo finta di non comprendere che non necessariamente essi siano un’unica cosa. E le “perversioni” sessuali esistono, come ho già detto, sia nell’ambiente eterosessuale che in quello omosessuale, così come esistono giochi erotici e film per adulti di ogni genere. C’è chi si nutre solo di questo e chi, invece, con queste cose non ha mai voluto avere nulla a che fare. Trovo offensivo che Di Tolve parli in modo ossessivo solo di quella parte di sessualità che LUI ha vissuto e che non appartiene a moltissimi uomini e a moltissime donne dell’ambiente GLBT . Credo, in definitiva, che non sia il dialogo quello che cerca Di Tolve. Egli provoca, continuamente. Pare quasi che sia un personaggio in cerca d’autore, alla ricerca continua di un riflettore o di una telecamera (o di un giornalista) a cui raccontare, senza sosta, la sua triste esperienza di ex gay reietto.
Noi adulti che ci poniamo domande sul senso delle cose sappiamo bene che di Tolve insiste volontariamente sull’aspetto della mercificazione del corpo nel mondo GLBT. Ma il sesso fine a se stesso, i luoghi d’incontro, di scambio, la pornografia vissuta o raccontata, esistono anche nel mondo eterosessuale ed è ignobile far credere a coloro che non conoscono la cultura GLBT che tutto il mondo GLBT sia così.
Vorrei solo riportare due frasi dell’intervista di Di Tolve, una sarei persino tentato di non commentarla ed è questa: “Cominciai a lavorare sulla mia virilità. Dopo essere stato assunto come guardia giurata, mi misi a studiare La Gazzetta dello Sport e a guardare Il processo di Biscardi in televisione per non farmi cogliere impreparato dai colleghi che parlavano solo di calcio. Sentii d’avercela fatta il giorno in cui m’invitarono con loro al bar a bere una birra. Ero tornato nel gruppo dei pari. Pensai: tu puoi essere eterosessuale, tu puoi formarti una famiglia. Era un’idea che mi faceva sentire bene».
L’altra invece riguarda il desiderio di paternità di Di Tolve, quando il giornalista gli ricorda che è sieropositivo Di Tolve risponde: «Sì, ma c’è stato un altro miracolo: da quando mi sono convertito, la carica virale dell’Hiv è completamente azzerata. Sto benissimo. Quindi un figlio non correrebbe rischi. Purtroppo tarda ad arrivare». Questa è pura disinformazione, la carica virale si è annullata non grazie a un “miracolo” ma grazie alle medicine che le persone sieropositive prendono. O almeno così mi hanno spiegato alcuni dei miei amici eterosessuali che quelle medicine sono costretti a prenderle.
Marino Buzzi