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L’Ucraina boicottata: la vendetta dell’Occidente

Creato il 18 giugno 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Ucraina boicottata: la vendetta dell’Occidente

Formalmente dovuto alla detenzione di Julija Timošenko, l’ostracismo statunitense ed europeo nei confronti della dirigenza ucraina è indissolubilmente legato agli eventi che hanno fatto seguito alla “rivoluzione arancione”. Secondo Bernhard Tomaschitz, le scelte di Viktor Janukovič, che ha concesso basi navali alla flotta russa nel Mar Nero, costituiscono la motivazione reale delle critiche occidentali dietro l’uso strumentale del “caso Timošenko”.

 
A poche settimane [nel momento in cui scrive l'Autore, ndr] dall’inizio delle partite per la Coppa europea di calcio, l’Ucraina, Paese ospite, è messa sotto pressione. Il Presidente della Commissione dell’Unione Europea Barroso ha rinunciato alla sua visita durante le partite, così come diversi uomini politici di alto rango dell’Europa occidentale. Il Ministro degli affari esteri tedesco, Westerwelle, ha a sua volta indirizzato alcune rimostranze al governo di Kiev: “Il governo ucraino deve sapere che il cammino verso l’Europa passa attraverso un ponte che poggia su due pilastri: la democrazia e lo Stato di diritto”.

Il motivo ufficiale di queste tensioni crescenti è la detenzione di Julija Timošenko. La ex Primo Ministro è stata condannata lo scorso autunno a sette anni di prigione con l’accusa di corruzione, per aver concluso un accordo sul gas con la Russia che i giudici hanno considerato sfavorevole per l’Ucraina. Tali accordi hanno comportato una perdita di circa 137 milioni di euro. L’Occidente ha severamente criticato questa sentenza: rimprovera al Presidente filo-russo Viktor Janukovič di essersi voluto sbarazzare di un’avversaria sgradita. “Infliggendo una sentenza severa nei confronti della signora Timošenko, il governo Janukovič si è unito alla lista, sempre più lunga, di governi che sfruttano il diritto penale per applicarlo ai dirigenti che li hanno preceduti. Ex primi ministri, presidenti, ministri e capi dell’opposizione – tutti avversari politici di quanti sono al potere – vengono ormai portati in tribunale o minacciati di persecuzioni giudiziarie”, scrive Arch Puddington, vice-presidente di “Freedom House”, organizzazione americana specializzata in propaganda. Tutta una serie di nuovi rimproveri hanno fatto traboccare il vaso: la “principessa del gas” Timošenko si vedrebbe rifiutare/negare dei trattamenti medici in prigione, verrebbe ivi maltrattata, ecc.

Ma nei fatti questo assalto propagandista e mediatico contro l’Ucraina, Paese in cui la nozione di Stato di diritto è diversa da quella vigente in Occidente, ha altre motivazioni: esso mira al Presidente Janukovič. Due anni fa, quando ha battuto il filo-occidentale Viktor Juščenko che, al fianco di Juljia Timošenko, rappresentava la seconda icona della “Rivoluzione Arancione” appoggiata dagli Stati Uniti, la politica ucraina ha cambiato rotta. Juščenko voleva unirsi alla NATO: un proposito che è stata depennato dall’ordine del giorno a partire dall’arrivo di Janukovič alla presidenza. Le relazioni con la Russia, che sino ad allora erano state molto tese, si sono normalizzate. Quando Janukovič ha prolungato il contratto di locazione delle basi navali russe in Crimea, a Sebastopoli, il cui termine era previsto per il 2017, ha in qualche modo oltrepassato una linea rossa.

Dall’inizio della presidenza Janukovič, il 7 febbraio 2010, è iniziato il fuoco di sbarramento. Il pubblicista americano Walter Russel Mead, solitamente moderato nei suoi interventi, all’indomani della vittoria di Janukovič scriveva che essa “costituisce un nuovo oltraggio all’idea che il mondo intero sarebbe diventato rapidamente democratico”. Più incisivo ancora è stato il politologo newyorkese Alexander J. Motyl nel corso dell’estate 2010 dalle colonne della celebre rivista “Foreign Affairs”. Secondo Motyl, Janukovič sceglierebbe i suoi ministri come un “padrone” e privilegerebbe uomini e donne discendenti della minoranza russa dell’Ucraina orientale, mettendo così in pericolo il “consenso nazionale”.

Non ci si stupirà molto del fatto che Motyl critichi soprattutto il prolungamento del contratto di locazione delle basi navali della flotta russa del Mar Nero. A suo dire, questo prolungamento sarebbe una decisione avventata, presa di fretta, senza tenere in debito conto le “potenziali conseguenze geopolitiche per l’Ucraina”. Prolungando la locazione, Janukovič avrebbe “svenduto” la sicurezza dell’Ucraina “consegnando alla Russia, per un certo periodo di tempo, il controllo informale della Crimea, delle inaggirabili vie marittime e delle risorse di gas ad essa contigue”.
Agli occhi degli Stati Uniti, il prolungamento del contratto di concessione costituisce un rovescio considerevole per le loro ambizioni geopolitiche in Europa orientale. Anche se l’adesione dell’Ucraina non è più attualmente all’ordine del giorno, Washington ha ormai le mani legate fino al 2042. Con una base russa sul suo territorio nazionale, l’Ucraina non aderirà al Patto Nord Atlantico; quanto ad un rifiuto unilaterale della locazione da parte dell’Ucraina, la Russia non l’accetterà. In questo modo, gli Stati Uniti incontreranno enormi difficoltà a controllare quello che i geopolitici della tradizione anglosassone definiscono “Heartland”, ossia lo spazio-perno euroasiatico. Nel 1919, infatti, il geografo britannico Sir Halford J. Mackinder scriveva, in seguito alla prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e l’occupazione dell’Ucraina da parte delle truppe tedesche dopo il trattato di pace tedesco-sovietico di Brest-Litovsk:

Chi controlla l’Europa orientale, domina lo Heartland. Chi controlla lo Heartland, domina l’isola del mondo (l’Europa, l’Asia e diverse porzioni dell’Africa). Chi controlla l’Isola del Mondo, domina il mondo.

Gli Stati Uniti erano riusciti a dominare momentaneamente questo spazio-perno, al quale appartiene almeno l’Ucraina orientale, grazie alla “rivoluzione arancione” da essi orchestrata fra l’autunno del 2004 e la primavera del 2005. All’epoca, l’Ambasciatore degli Stati Uniti a Kiev, John Herbst, aveva avuto un ruolo determinante in questo scenario. Di lui gli affari esteri americani scrivono: “nell’esercizio delle sue funzioni, egli ha lavorato per il miglioramento delle relazioni ucraino-statunitensi e ha contribuito allo svolgimento di elezioni presidenziali corrette (“fair”). A Kiev, ha vissuto la “rivoluzione arancione”. In precedenza, John Herbst era stato ambasciatore degli Stati Uniti in Uzbekistan, dove ha avuto un ruolo decisivo per l’istallazione di una base americana destinata al supporto dell’operazione “Enduring Freedom” in Afghanistan.

Gli Stati Uniti non sono pertanto riusciti a mantenere sul lungo periodo l’Ucraina entro la propria sfera d’influenza. Questo fallimento si spiega per diverse ragioni: il duo Juščenko / Timošenko si è rapidamente sciolto; le condizioni di vita degli Ucraini non hanno conosciuto un miglioramento sostanziale e la politica filo-americana di Juščenko ha accentuato l’antica divisione tra Ucraini dell’Est e Ucraini dell’Ovest. Ma questo insuccesso non esclude una nuova rivolta colorata che potrebbe di nuovo sparigliare le carte. Perché non dimentichiamo ciò che Motyl scriveva due anni fa: “Se Janukovič mantiene il corso che sta seguendo oggi, potrebbe provocare una seconda rivoluzione arancione”. Il caso Timošenko potrebbe fornirne il pretesto.

(Traduzione dal francese di Francesca Malizia)


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