Lo stesso Josè Manuel Barroso ha invitato gli ucraini ad un sano realismo e a non dimenticare gli impegni di duro lavoro che l’implementazione di tale accordo richiederà: una serie di locuzioni in politichese per chiarire che l’Ue ha finora sostenuto le velleità europeiste dell’Ucraina, ma se Kiev vuole realmente l’Europa se la dovrà meritare, realizzando le riforme per rendere più libera la propria economia e più democratiche politica e società. Su ciò, l’Europa non farà sconti.
Finiti gli applausi e scattate le foto di rito, ora tra i Ventotto la parola d’ordine è “prudenza”. Una prudenza che nasce dalle difficoltà e dagli ostacoli che Kiev dovrà affrontare nei prossimi anni, e di cui Stefan Füle, Commissario all’Allargamento e protagonista nella fase dei negoziati, è ben consapevole. Tanto da aver voluto ribadire a tutti che l’Accordo sottoscritto a Bruxelles non implica assolutamente che l’Ucraina sia già un membro effettivo dell’Unione Europea, né tantomeno un Paese candidato ad esserlo: “L’Accordo di Associazione per adesso lo abbiamo solo firmato: dovrà essere ratificato (probabilmente in luglio, ndr), ma soprattutto saranno necessarie le riforme attraverso le quali l’Ucraina dovrà mostrare quanto forti sono le sue credenziali europee”.
L’interrogativo che si pongono molte Cancellerie all’indomani dell’ingresso nell’Area di Libero Scambio, è se in questo momento l’economia ucraina sarà in grado di resistere all’impatto con quella comunitaria, considerato pure che i conti di Kiev, già malandati, sono sprofondati nel rosso più cupo dall’inizio della crisi nelle regioni dell’Est. Per cominciare, l’Ucraina dovrà innanzitutto omologarsi agli standard, alle direttive e ai regolamenti tecnici comunitari, e dovrà farlo a proprie spese, con interventi che andranno a pesare, non poco, sulla già disastrate casse nazionali. Costi elevati, che Bruxelles spera di non dover pagare di tasca propria.
Servirebbero subito aiuti tra i 30 e i 50 miliardi di dollari (qualcuno stima anche 80) solo per scongiurare i rischi di default, ed altri 300 per colmare il gap infrastrutturale con l’Ue creatosi nell’ultimo ventennio. Sarà l’Ue a prendersi questo avallo e ad aprire questa nuova corposa linea di credito? Yanukovic ne aveva chiesti 167, ma gli fu risposto che la cifra che chiedeva era superiore a quella spesa per la Polonia attraverso i Fondi Strutturali.
Il punto ora è proprio questo: se Bruxelles decidesse di accollarsi anche questi interventi, ciò richiederebbe una massiccia iniezione di capitali nelle vene ucraine. Uno sforzo simile a quello attuato nei confronti dei cosiddetti Paesi PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) dopo la crisi generata dal flop dei mutui sovrani tra il 2011 e il 2012: con la significativa differenza che oggi, essendo bloccata da vincoli di budget che non contemplano spese ulteriori per i prossimi sette anni, l’Unione Europea non può sobbarcarsi dei costi così elevati per salvare un Paese da ieri “associato”, ma pur sempre extracomunitario.