I Contenuti
Vigilia di Natale del 1863. La brigantessa Maria Oliverio, detta Ciccilla, nell’immobile buio di un misero capanno, dove ha trovato riparo insieme al marito, il capobrigante Pietro Monaco, Brutta Cera, si lascia assalire dai ricordi che la scuotono e la tengono desta.Quando il marito è ucciso da tre dei suoi gregari più fidati, Maria non si arrende e assume il comando della banda. Catturata nel febbraio del 1864, è processata e condannata a morte “mediante fucilazione nella schiena”. E’ l’unica brigantessa italiana alla quale è data una tale pena, che però è subito commutata dal Re nei lavori forzati a vita. Rinchiusa nella celebre Fortezza di Fenestrelle, si spegne quindici anni dopo.La storia, tutta vera, fa cogliere il senso di quell' evento complesso e straordinario quale fu il brigantaggio meridionale e disvela scenari che concordano nell’imputare al processo di unificazione politica dell’Italia e alle sue modalità la nascita di una “nazione forzata”.
La Recensione
Maria Oliveiro incontra Pietro Monaco per la prima volta a 9 anni e questo incontro determinerà tutto il suo futuro. Da quel giorno porterà con sé l' immagine di un ragazzo gentile e premuroso che si è preso cura di lei finché, non molti anni dopo, lo sposerà abbandonandosi ad un amore esclusivo e travolgente che la condurrà a scelte ed azioni estremamente pericolose.La narrazione, affidata alla voce di Maria stessa, è tripartita: in un primo lungo capitolo la brigantessa ricostruisce la sua storia con Pietro, i motivi per cui l'uomo decide di darsi al brigantaggio e quelli che spingeranno lei a seguirlo dopo una iniziale titubanza. Nei successivi due capitoli è la donna, ormai vedova, la protagonista assoluta della storia: è lei che si incarica di dirigere la banda fino al momento in cui non viene arrestata. La figura che l' autore di questo romanzo ci consegna di Maria è quella di una donna determinata, energica, intraprendente, animata da quella profonda vitalità contadina che è attaccamento alla propria origine e passione viscerale per la vita. Tuttavia, accanto a lei, gli altri personaggi sembrano sbiaditi, quasi un contorno indispensabile ma al quale non si è voluta prestare l'attenzione necessaria per farli "vivere". Persino il marito, il famigerato brigante "Brutta Cera", per quanto idolatrato da Maria, non si rivela il corrispettivo della donna ma risente della sua ombra e non riesce ad emergere dalla carta. Ciò che ne risente di più sono i dialoghi che non appaiono spontanei ma innaturali e artefatti perché pronunciati da personaggi non da persone. Questo è particolarmente evidente nei ragionamenti dei contadini: probabilmente l' autore si è sforzato di ricreare un modo semplice di sentire, di esprimersi e di analizzare gli eventi, ma "tradotti" in lingua italiana questi discorsi sembrano fin troppo ingenui, come proferiti da bambini.Il romanzo risulta invece molto più convincente ed emozionante quando si tratta di descrivere i mutamenti dell' animo della protagonista: donna fiera e coraggiosa, Maria però non perde mai la sua sensibilità femminile e, in certi punti, si ha davvero l' impressione che sia la donna a parlare. Per quanto breve, ho trovato poi particolarmente interessante l' ultimo capitolo non solo per la delicatezza del linguaggio nel mostrarci la profonda metamorfosi della brigantessa ormai reclusa ma anche perché punta l' attenzione su un argomento ancora poco discusso, su un capitolo di storia sul quale si preferisce chiudere gli occhi: il "campo di concentramento" di Fenestrelle.
A pronunciarlo, il nome pare quello di una gentile fanciulla o di un fiore di campo o, al massimo di un innocuo insetto e, invece, Fenestrelle è un essere orrendo assetato di vittime: più prigionieri vi portiamo più ne accoglie e divora.
Giudizio:+3stelle+
Articolo di Livia Medullina
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