Gran Burrone disegnato da J.R.R. Tolkien per Lo Hobbit
«E così finalmente arrivarono tutti all’Ultima Dimora Accogliente, e trovarono le porte spalancate.
Certo è una cosa strana, ma sta di fatto che a parlare delle cose belle e dei giorni lieti si fa in fretta, e non è che interessi molto ascoltare; invece da cose disagevoli, palpitanti o addirittura spaventose si può fare una buona storia, o comunque, un lungo racconto. Rimasero per un bel po’ in quella casa confortevole, almeno quattordici giorni, e trovarono duro andarsene. Bilbo sarebbe stato contentissimo di fermarsi lì in sempiterno, anche supponendo che un desiderio esaudito per magia lo avesse riportato senza guai diritto alla sua caverna hobbit. Eppure, di quel soggiorno c’è poco da raccontare.
«Il padrone di casa era un amico degli elfi, una di quelle persone i cui padri compaiono nelle strane storie anteriori all’inizio della Storia, nelle guerre tra gli orchi malefici, gli elfi e i primi uomini del Nord. Nei giorni in cui si svolge la nostra storia c’erano ancora delle persone che avevano per antenati sia gli elfi sia gli eroi del Nord, e Elrond, il padrone di casa, era il loro capo.
Era nobile e bello in viso come un sire elfico, forte come un guerriero, saggio come uno stregone, venerabile come un re dei nani, e gentile come la primavera. Compare in molte storie, ma la sua parte in quella della grande avventura di Bilbo è piccola, anche se importante, come vedrete se mai ne arriviamo alla fine. La sua casa era perfetta, che vi piacesse il cibo, o il sonno, o il lavoro, o i racconti, o il canto, o che preferiste soltanto star seduti a pensare, o anche se amaste una piacevole combinazione di tutte queste cose. In quella valle il male non era mai penetrato.
«Vorrei avere il tempo di raccontarvi almeno qualcuna delle storie, o riportare una o due delle canzoni che udirono in quella casa. Tutti quanti, perfino i pony, si rinfrancarono e si rinforzarono in quei pochi giorni che vi trascorsero. Fu presa cura dei loro abiti come delle loro ammaccature, del loro umore e delle loro speranze. Le loro bisacce furono riempite di cibo e di provviste leggere da portare, ma tanto sostanziose da permetter loro di passare al di là dei passi montani. I loro piani furono migliorati da eccellenti consigli. Così si arrivò a Ferragosto, ed essi dovevano rimettersi in cammino proprio la mattina di Ferragosto, al sorgere del sole».
J.R.R. Tolkien a proposito di Imladris o Gran Burrone (o Forraspaccata), Lo Hobbit pp. 67-68.
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Ricordate che cosa si era detto dei castelli fatati?
Ogni castello fatato è un rifugio – per chi è stanco di quel che ha fatto e di quel che ancora deve fare, è un ristoro, un incoraggiamento, un talismano.
Da portare sempre con sé.
- Roald Dahl Day 2013
- In un guscio di noce
- Un castello sull’albero
- Qualche giorno al lago
- Sui castelli fatati
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