L’ultima missione (di Olivier Marchal, 2008)

Creato il 09 aprile 2012 da Iltondi @iltondi

Louis Schneider (Daniel Auteuil), agente della polizia di Marsiglia, ha perso la figlia in un incidente d’auto, mentre sua moglie giace in stato vegetativo in un letto d’ospedale. Ormai allo sbando, annega il suo dolore nell’alcol e finisce per essere degradato nel lavoro. Intanto due storie parallele lo riguardano direttamente: da una parte l’indagine sui brutali omicidi di un serial killer; dall’altra la scarcerazione di uno spietato assassino che lui stesso aveva arrestato venticinque anni prima. 

L’inizio col livido bianco e nero e la battuta «Dio mi ha tradito, e io lo punirò» (che si ricongiunge a una delle ultime immagini nello splendido e tragico finale) è già di forte impatto. Il regista, ex poliziotto, ci cala subito, senza preamboli, nell’incubo del protagonista. Nella scena seguente, ripreso da ogni angolazione possibile, vediamo Daniel Auteuil in preda all’auto-annientamento, che ubriaco dirotta un bus di città. Si dispiegano poi flashback dell’incidente in cui sono rimasti coinvolti i suoi cari e si dipana la storia, divisa in due. Forse non tutto funziona in sceneggiatura, proprio in termini di sovrapposizione delle due vicende e di caratterizzazione dei personaggi minori, ma il film dà nel complesso l’idea di un polar realizzato secondo gli stilemi di straordinari maestri come Jean-Pierre Melville. Insomma, Olivier Marchal, dopo il magnifico 36 Quai des Orfèvres, dimostra piena padronanza nel manovrare i fili di questo genere caro alla tradizione del cinema francese (il polar è un incrocio tra poliziesco e noir). Non è certo nuova la rappresentazione del poliziotto sbandato, che scola bottiglie di whisky e appende le foto delle vittime alle pareti di una squallida camera in affitto, però Louis Schneider simbolizza l’esatta espressione del nichilismo, individuo tormentato e senza speranza. L’ambientazione in questa Marsiglia grigia e umida aggiunge fascino e rende il tutto ancora più cupo, mentre le musiche sono sempre presenti a sottolineare il tessuto drammatico dell’opera. Zoom improvvisi e macchina addosso ai corpi, ai volti, che quasi penetra negl’occhi a estrarre la sofferenza. I francesi hanno poi il grande merito di rendere credibile l’intero cast, scegliendo visi che non stonano rispetto all’asprezza della storia; le attrici, per esempio (Catherine Marchal, moglie del regista, e Olivia Bonamy), sono bellezze normali, distanti dalle superdive americane. Infine una nota sul titolo: l’originale, MR 73, sigla di una pistola (che si ritroverà durante l’incedere della storia), subisce in italiano la trasformazione nel dozzinale L’ultima missione, che non è proprio esaltante, diciamo così. Ma non ci lamentiamo, i titolisti italiani hanno saputo fare decisamente di peggio…



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