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"L'ultima ruota del carro" di Giovanni Veronesi presentato all’ultima edizione del festival internazionale del cinema di Roma, dimostra che si possano produrre pellicole di buona qualità senza inzepparle di sesso, volgarità e violenza.
Il cast è di alto livello, con un Elio Germano che continua a stupirci con straordinarie interpretazioni, per alcune delle quali è stato insignito di prestigiosi premi nazionali e stranieri (basta pensare a Mio fratello è figlio unico e La nostra vita); una tenerissima Alessandra Mastronardi, un po’ Cesaroni e un po’ To Rome with love; il romanaccio ripulito in salsa craxian-berlusconiana Richy Memphis; un Sergio Rubini che non ha bisogno di presentazioni; Alessandro Haber, vero coprotagonista insieme ad Elio Germano, artista pop e mordace; Maurizio Battista, che forse rende meglio al teatro che nelle sale cinematografiche; e, infine, con Dalila Di Lazzaro, che, dopo tragedie che le hanno sconvolto la vita, è tornata al suo pubblico.
Riuscire a rendere poetiche la prima e l’ultima scena, ove Ernesto (appunto Elio Germano) sguazza in mezzo alla monnezza e si abbandona su un letto di buste di plastica nella discarica romana di Malagrotta è cosa non facile, ma il regista vi è riuscito appieno.
E’ una storia di sentimenti semplici e, quindi, veri, di amicizia e di momentanee illusioni. Di affetti puliti da dove vengono tenuti lontani certi - oramai - insopportabili intellettualismi distruttori della famiglia e della serena quotidianità. Si racconta dell’onestà imperturbabile di Ernesto che vuole solo lavorare tanto e, che si lascia coinvolgere per un breve lasso di tempo in avventure professionali vicine al mondo politico, per poi tornare ineluttabilmente alla sua esistenza di sempre, con la mogliettina, il figlio, il nipote che arriverà, lo zio ammanicato e gli amici che, anche se qualche guaio glielo potevano combinare, sempre amici sono.
La trama attraversa le vicissitudini italiche dagli anni sessanta ai giorni d’oggi in maniera lieve, con dolcezza e ironia, senza bava alla bocca, senza ditini alzati.
Il successo di Sole a catinelle di Checco Zalone e de L’ultima ruota del carro è la prova provata che il Popolo italiano non ne può più di essere abusato da certi tipi di film (che vincono, sì, premi, ma che lasciano vuoti i cinema) e che, in realtà, apprezza la pulizia dei racconti, i volti sornioni e candidi di certi attori, la normalità che alcuni vorrebbero travolgere.
Fabrizio Giulimondi
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