di Gaetano ValliniIl film di Giovanni Veronesi ha inaugurato il Festival del cinema di Roma
Raccontare in una commedia la storia di un uomo normale, dove normale sta per onesto, fedele alla famiglia e ai propri ideali di moralità, rettitudine e lealtà. É quanto ha fatto Giovanni Veronesi ne L'ultima ruota del carro, che nella serata di ieri, venerdì, ha aperto l'ottava edizione del Festival internazionale del film di Roma. La pellicola infatti ripercorre la storia privata - vera al novanta per cento, assicura il regista – di Ernesto, trasportatore e autista, che per quarant’anni ha girato l’Italia in lungo e in largo, assistendo agli scandali economici e al malaffare politico, ai sogni e alle delusioni che hanno segnato la vita del Paese, ma che grazie al suo sguardo limpido e a un'indole incorruttibile ha schivato le trappole e le perverse scorciatoie del guadagno facile. Insomma, un padre che ha scelto di non far mangiare pane sporco ai figli, per dirla con Papa Francesco.Cinematograficamente il risultato è apprezzabile, ma il merito maggiore del regista sta nella scelta di fare un film in qualche modo controcorrente: laddove l'attuale italica cinematografia preferisce storie di degrado morale, di tradimenti e di famiglie allo sfascio - e Veronesi finora non aveva fatto eccezione con le sue commedie - qui si presenta la vita di un uomo che non tradisce i propri ideali, dentro e fuori casa. Si sorride, a volte con amarezza; ci si commuove anche po’. E si riflette.Ernesto, splendidamente interpretato da Elio Germano, cresce coltivando i sogni e i desideri di un ragazzo nato negli anni Sessanta: imparare un mestiere, magari quello di tappezziere, accanto al padre; avviare un'attività in proprio; sposarsi e mettere su famiglia. Insomma, vivere una vita semplice ma felice. Ma gli eventi e un amico fin troppo intraprendente lo costringeranno a un’esistenza che non è la sua. Ernesto, mite e al limite dell'ingenuità, subirà il destino, ma riuscirà comunque a non restarne travolto. Sullo sfondo Roma e i fatti più significativi della storia italiana, dall'assassinio di Moro da parte delle brigate rosse alla vittoria degli azzurri ai mondiali di calcio del 1982, da tangentopoli e la caduta della prima Repubblica al berlusconismo.Per quanto paradossale possa sembrare, il protagonista, apparentemente piccolo e insignificante, è in realtà un eroe di un'Italia passata dal bianco e nero al colore portandosi dietro troppi difetti dai quali non riesce ancora a liberarsi, in cui furbi e disonesti sono spesso considerati modelli positivi vincenti e gli onesti cretini e perdenti. Ernesto, contento della sua vita - del suo lavoro, della sua famiglia unita (la sua tenera vicenda sentimentale con la moglie Angela è uno dei cardini del film) – e coerente fino in fondo con i suoi principi che non ammettono compromessi, sa che per essere felici basta poco, basta accontentarsi. Non serve altro, se questo altro significa vendersi l'anima, rinunciare alla propria integrità. E così, nonostante schiaffi e umiliazioni, Ernesto, l’ultima ruota del carro, è un vincente vero. E in qualche modo quello di Veronesi un film politico.(©L'Osservatore Romano – 10 novembre 2013)
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