L’ultimo desiderio (2/2)

Da Paride

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A suggello delle sue parole sul viso del Genio si disegnò un ghigno, più vicino a quello di chi ha evacuato che a quello di chi avesse voluto sentenziare solennemente.
- Maleducato, esclamò Soda voltandogli le spalle.
- Mi perdoni signorina, si scusò il Genio, vispo ma non abbastanza pentito della sua loffetta puzzolente di secoli – alla mia età è difficile trattenersi.
- La verità è che vuoi fregarmi, disse Soda.
- Voglio sbrigarmi, disse il Genio stanco e sfatto – lì dentro devo tornare, aggiunse indicando la lampada arrugginita e macchiata.
- Lo so, disse la bambina guardandosi le scarpine e il vestitino (si rabbuiò sulla macchiolina), poi indugiò sulla faccia imbellettata di quella maschera del fallimento.
Il Genio era commosso da quello sguardo, di solito le persone che lo evocavano mostravano senza ritegno sguardi famelici, erano risoluti in ogni loro richiesta, dalla più vana alla più indegna. Quella bambina aveva qualcosa che gli altri non avevano, pensò, forse il fatto di non aver ancora perduto tutte le occasioni.
Il vecchio Genio, senza rendersene contò, si lasciò andare e aprì il suo cuore:
- Ecco: mi ricordo di quello che desiderò la pace nel mondo, per il quale ho dovuto far sparire tutti gli uomini dalla faccia della terra. E che p0i ci rimase malissimo, come se avessi potuto fare altrimenti. Quello che desiderò essere il padrone del mondo dopo avermi chiesto un membro adeguato al piacere e le duecento donne più belle come mogli: ho dovuto trasformarlo in dolore, in cos’altro mai? Nell’amore forse? Non si era reso conto di aver chiesto troppo. E quell’altro che desiderava l’immortalità? Sai cos’è adesso? – la bambina fece no con la testa, ma si stava domandando cosa fosse un membro adeguato – è pura energia, disse il genio, un atomo d’idrogeno al centro del Sole. Poi ci sono quelli che non capiscono le regole del gioco. Domandano subito altri venti desideri ed io allora devo dire “Mi dispiace, hai diritto a tre desideri e non posso cambiare le regole, ne hai sprecato già uno. Allora si arrabbiano e mi picchiano. Voglio esaudire tre vostri desideri e non vi basta? Incontinenti, ecco cosa sono. Inconcludenti per giunta, gente che non sa cosa vuole e se la prende con chi gli da’ una possibilità. Per tutta la vita ho vissuto i desideri degli altri, ho vissuto dietro a persone che chiedevano, pretendevano e ottenevano per giunta: ho conosciuto molti malvagi di cui il mondo ancora si ricorda. Assurde richieste, sgangherate idiozie e geniali mortalità. Non vorrei deluderti, piccola. Non voglio deluderti, concluse il vecchio con gravità.
- E’ impossibile, disse la bambina.
- Cosa? – domandò il vecchio.
- Deludermi. Genio della lampada, affermò con decisione la bambina, voglio che tu esaudisca un tuo desiderio.
Il genio dapprima strizzò gli occhi, le sue rughe da decine divennero centinaia e migliaia, poi il suo corpo scricchiolò come una sedia che avesse visto troppi culi e stesse per sopportare proprio l’ultimo. Infine si rianimò. Calò il turbante apparendo quasi umano, meno conturbante di prima.
Soda si aspettava che dicesse qualcosa, era veramente curiosa di sapere cosa desiderava colui che per chissà quanti secoli aveva ascoltato i desideri di chissà quante persone.
- Sono turbato, disse il Genio, sono stupito e sorpreso, credo di essere felice. La bambina, che il Genio non avrebbe mai chiamato Soda, sorrise. Svirgolava un piedino nella polvere e sentiva dentro di sé uno strano prurito, un’anomala carezza per non dover vergognarsi di quello che aveva fatto.
- Sai consigliarmi quale mio desiderio devo esaudire?
- Si, rispose la piccola Soda. Basta che tu ti chieda cosa ti piace e ti dia una risposta sincera.
- Giusto, disse il vecchio – oppure – aggiunse – farti un regalo perché sei stata così gentile.
- Allora? – domandò la bambina.
- Esaudirò il desiderio di non poter più esaudire.
- Hai fatto?
- Ecco: puoi svegliarti, disse il Genio schioccando le dita.

Soda aprì gli occhi. Si era addormentata su una vecchia sedia nella cantina della casa della sua vecchia nonna che non moriva mai. Ricordava di aver sognato uno dei tanti oggetti impolverati e incrostati, macchiati e macilenti che si trovavano tra quelle cianfrusaglie accatastate… A casa non rifiutò di lavarsi le mani, non tirò un calcio al vecchio cane nero che viveva con loro, ma questa volta gli fece una carezza. Diede un bacio alla nonna, sollevata di non doverla sgridare e stupita nel vederla così allegra. Siccome era vicina l’ora di cena domandò alla nipote se avesse fame. Soda rispose con gentilezza e non si stupì affatto della risposta:
- Ho già mangiato.
Né lei, né nessun altro, avrebbe mai potuto spiegare che cosa.


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